Negli ultimi anni il protagonista indiscusso della scena musicale italiana è proprio l’indie, un “genere non genere”, camaleontico, capillare e decisamente accattivante.
La sua definizione non è legata ad un particolare tipo di musica ma semplicemente al fatto che essa nasce come indipendente, ovvero in tutto quel mondo underground autoprodotto o prodotto da etichette di relativa importanza, non legate alle major.
Come si può benissimo notare queste band sono accomunate dall’ideologia DIY, ovvero del Do It Yourself , ma sono assolutamente distanti dal punto di vista musicale: infatti l’indie è proprio per questo un movimento più che un genere, il suo essere camaleontico fa sì che volendo ogni tipo di musica possa essere considerata tale (dalla trap al rock, dal punk al pop).
E’ appunto considerato un movimento perché capita che si definisca indie un abito, un oggetto o addirittura una persona basandosi sul suo stile, che col tempo è diventato sinonimo di ricercato e particolare. Divenuto un’aesthetic, rende il confine molto labile tra quello che è il suo vero significato e tra l’espropriare la parola dal suo concetto principale.
Le origini
L’indie come lo intendiamo noi ha preso piede verso la fine degli anni ‘80 dai movimenti indie rock e indie pop derivanti dal post punk, ma possiamo dire che si sia diffuso veramente a partire dai primi anni del 2000, sviluppandosi in un panorama totalmente diverso rispetto a quello popolare, in qualche garage o locale underground.
Fondamentale è stato il contributo degli artisti oltre manica quali gli Smiths o quello degli artisti oltre oceano come i Pixies o i Sonic Youth, che si sono addossati per primi la responsabilità di mostrare al mondo di cosa si trattasse questa novità musicale. Grazie a loro l’indie diventa di interesse anche per le grandi case discografiche e viene sempre più considerato un genere, piuttosto che un movimento che si oppone alle grandi major.
Attraverso queste band o artisti che iniziano la loro carriera in modo indipendente e coraggioso, buttandosi a capofitto nel mondo della musica, è facile che si crei una forte realtà a livello locale, in cui essi suonano in pub o locali della propria città, contribuendo al crearsi di una “scena musicale” territoriale, di nicchia, in cui è forte il contatto che si ha col proprio pubblico a prescindere da quanto vasto esso sia.
In poche parole questi pezzi, un tempo per pochi, si sono diffusi a macchia d’olio scatenando un vero e proprio fenomeno mediatico anche qui in Italia, dove sempre più canzoni di questo genere possono essere ascoltate via radio con sorpresa (e una certa fierezza quasi paterna) di chi, invece, ha scoperto quei medesimi cantanti anni fa.
Ma come si riconosce un pezzo indie? Fondamentalmente, a parte il sound spesso un po’ retrò e nostalgico, l’indie in senso stretto punta su immagini quotidiane, descritte con la semplicità di chi osserva il mondo senza pretese, si può partire benissimo da qualsiasi cosa ci venga in mente basta che colpisca in modo diretto l’ascoltatore, facendo venir meno anche certi tabù, con un linguaggio che attinge dallo slang cittadino e arriva a volte a provocare con metafore no-sense o estremamente complicate.
La scena italiana
Sono così indie che uso la parola indie da dieci anni
E nessuno ha ancora capito che cosa vuol dire (eh)
Però andiamo a Sanremo che non è una cosa molto indie
Facciamo un best of che non è una cosa molto indie
Non diciamo le parolacce
Ché non è un atteggiamento molto indie (ma vai a fanculo)
Però dice che l’indie adesso va di moda
Quindi fanculo tutti facciamo il cazzo che ci pare (sì)
“Sono così indie” de “Lo Stato Sociale”
Secondo molti, la musica indie in Italia nasce con gli anni ’90 e nello specifico con gruppi come gli Afterhours di Manuel Agnelli e i Marlene Kuntz di Cristiano Godano. Sono gli anni anche dei Verdena di Alberto Ferrari e dei Bluvertigo di Morgan. Gruppi che offrono una musica decisamente alternativa al mainstream e che raccoglie un seguito comunque nutrito di affezionati fan. Anche in Italia, l’indie viene presto considerato un genere musicale, anche se spesso le band vengono prodotte da piccole case discografiche indipendenti e non dalle grandi major.
Gli autori italiani che hanno poi seguito le orme dei grandi ma aggiungendo nuove sonorità, che hanno spodestato dalle classifiche gli ormai superati artisti pop, che hanno incontrato il successo di un pubblico sempre più vasto, sono alcuni tra questi: Brunori Sas, L’Officina della Camomilla, Lo Stato Sociale, Thegiornalisti, Le Luci Della Centrale Elettrica, Motta e via di seguito; un tempo sulla bocca di pochi ed ora sulla cresta dell’onda.
Su facebook sono persino nati gruppi e community in cui condividere le ultime perle musicali di questo genere, ad esempio DiesagioWave e La Stazione Indiependente, dove discussioni sugli artisti (e anche, soprattutto meme) sono all’ordine del giorno.
Un vero e proprio iniziatore del genere come lo intendiamo ora e spartiacque tra indie e it-pop è stato Nicolò Contessa con il suo progetto “I Cani” ed il suo primo album. Dall’uscita di quel disco fondamentale, è stata un’ascesa continua, con un numero sempre crescente di artisti che hanno iniziato a farsi apprezzare a livello nazionale: da Calcutta a Gazzelle, da Coez a Motta, da Carl Brave ai Canova.
Calcutta, fenomeno per eccellenza di questa ondata musicale, visto il suo successo inaspettato negli ultimi tre anni, facendo sold-out nel 2018 all’Arena di Verona è l’esempio lampante di come questo genere colpisca gli animi di chi lo ascolta, qualcosa di quotidiano in cui identificarsi è sempre la chiave giusta per essere conquistati dalla musica e soprattutto, siamo, ormai, inevitabilmente, tutti così indie.
Fonti: Teamworld