La donna romana:
La donna, all’interno della società romana arcaica, era percepita come un individuo privo di identità, un contenitore vuoto pronto a portare in grembo e partorire nuovi cives, che sarebbero diventati, nel migliore dei casi, soldati.
Le mansioni che svolgeva all’interno della domus erano occupazioni momentanee ed effimere, poiché il suo principale dovere era quello di proteggere il proprio grembo come fosse una fortezza, in modo da permettere la continuità della gens (un clan formato da individui imparentati fra loro).
Ragion per cui la matrona non poteva parlare in pubblico e doveva indossare la stola (sopravveste lunga fino ai piedi), come protezione dagli occhi estranei. Attraverso un atto adulterino, infatti, ella avrebbe compromesso con sangue aliud (esterno) quello della gens e questo doveva essere evitato in ogni modo, anche a costo della vita.
Lucrezia: la matrona perfetta
Nell’antica Roma il modello ideale di donna era rappresentato dalla matrona casta, pia, lanifica (che stava al telaio) e frugi (semplice e onesta).
La donna che meglio rappresenta queste virtù è sicuramente Lucrezia, moglie di Collatino. La vicenda, raccontata dallo storico romano Tito Livio, vede come protagonisti Lucrezia e Sesto Tarquinio (figlio di Tarquinio “Superbo”).
Quest’ultimo, eccitato dalla comprovata moralità e dalla bellezza della donna, si presenta a casa di Lucrezia e le impone un rapporto sessuale, minacciandola con una spada. “E come la vedeva ostinata nel respingerlo e neppure piegarsi al terrore della morte, aggiunse al terrore l’infamia: disse che avrebbe messo, accanto a lei morta, uno schiavo nudo strangolato, perché si credesse ch’era stata uccisa nell’ignominia di turpe adulterio.” (Livio, “Ab urbe condita”, libro I, 57, 58).
Probabilmente questa donna non è mai esistita ma il suo racconto ha comunque un’enorme importanza: essere d’esempio per le altre matrone, come modello da imitare.
Alla fine del racconto, infatti, Lucrezia si accoltella con un pugnale, dopo aver riferito al padre e al marito l’accaduto, proprio perché ha perduto la sua dignitas, ormai irrecuperabile. Sebbene il rapporto con Sesto non sia stato voluto dalla donna, ella ha ormai compromesso il suo grembo e non c’è altra soluzione per lei se non la morte, come testimonianza di amore eterno per il marito.
“Levitas animi” femminile:
La subordinazione della donna all’uomo si esplicitava nel suo levitas animi (contrapposto al gravitas animi maschile), che la discriminava sessualmente: un tòpos della letteratura romana delle origini.
La donna, secondo la visione romana, aveva bisogno di un punto di riferimento maschile, di un auctoritas, così da non venire ingannata da altri. Inoltre, sempre secondo la visione romana, la donna era incline per natura all’adulterio, poiché non in grado di frenare i propri istinti.
Questa argomentazione, a mio parere, era usata come pretesto per segregare la donna all’interno dell’ambiente circoscritto della domus, così da privarla della propria libertà, e permettere all’uomo di prendere le decisioni anche al posto suo all’interno della società.
L’evergetismo come pratica di affermazione sociale:
Le prime attestazioni di donne impegnate nella vita cittadina risalgono al III secolo d.C.
Attraverso la pratica dell’evergetismo, impiego di denaro privato per lavori pubblici, le donne acquisiscono un’immagine pubblica e talvolta, quelle più meritevoli, anche un titolo istituzionale, ossia quello di mater coloniae.
Inoltre i cittadini per ringraziare le patrone erigevano statue in loro onore, che assumevano un valore propagandistico e davano visibilità a queste donne “emancipate”.
Il Novecento: l’anno del cambiamento
Nel corso degli anni le donne sono riuscite ad ottenere, attraverso lunghe e difficili battaglie, una progressiva parificazione dei sessi.
Basti pensare alla legge del 1950 a tutela delle mamme lavoratrici, oppure quella del 1963 in cui si dichiarano nulle le “clausole di nubilato” nei contratti di lavoro, che molte donne erano costrette a firmare, e viene permesso alle donne l’accesso a tutte le professioni.
Tuttavia, nonostante nel ‘900 siano stati compiuti passi da gigante dal punto di vista giuridico, ancora le limitazioni e i pregiudizi nei confronti delle donne sono tanti e c’è ancora del lavoro da fare.
Bisognerà, infatti, aspettare il 2003 per una legge contro il femminicidio, una piaga sempre più radicata all’interno della nostra società.
La situazione attuale della donna italiana:
Mentre le donne, nella Roma del IV e III secolo a.C., combattevano per poter vedere loro riconosciuta una posizione all’interno della società, ora continuano a battersi per lo stesso motivo, per vedere loro riconosciuta non solo la parità sulla carta (che in parte hanno ottenuto), ma anche nella vita di tutti i giorni.
Quella parità e quel rispetto che spesso manca, quando un uomo vede per la strada una ragazza e le fischia per chiamarla; o quando una donna, camminando per strada da sola, si deve guardare le spalle dal pericolo, che nella sua testa ha sempre il volto di “uomo”.
Basti pensare che, secondo una recente indagine Istat, le donne che si sono rivolte ai Centri antiviolenza nel 2017 sono 49.152: un dato che spaventa visto gli “innumerevoli passi avanti” di cui abbiamo parlato.
Sara Albertini