Inizia con questa fotografia il racconto di Nidaa Badwan e ci parlerà di un percorso umano, artistico e di lotta concreta.
Una fotografia fatta per gioco sarà la chiave, per far uscire da quella stanza un messaggio potentissimo che tratta di libertà.
Prima però di introdurre la Nidaa Badwan artista, bisogna fare un passo indietro. L’incontro con l’artista si è svolto a Montefabbri, che in occasione della Fiesta Global 2018, aveva allestito una mostra sulla fotografa Palestinese, in particolare sulla serie di autoritratti i “100 giorni di solitudine”. Il primo a prendere parola è stato suo marito, la sostituirà nel racconto della vicenda che la porterà a questa foto.
La storia di Nidaa
Nel novembre del 2013 Nidaa badwan viene fermata e arrestata da alcuni miliziani di Hamas. Le motivazioni erano chiare, il mancato uso del velo durante un evento artistico, nella striscia di Gaza. Imprigionata per 8 giorni e costretta a firmare un documento che le imponeva condizioni inaccettabili; tra le varie, l’uso del vestito islamico integrale e l’obbligo di uscire sempre accompagnata dal padre o dal fratello, e mai da sola. È in questo momento che sceglie un esilio volontario dalla propria comunità. Per 20 mesi rimarrà chiusa in una stanza di 9 metri quadrati, con una sola finestra e nulla da fare. Questa stessa stanza sarà lo sfondo delle prime opere dell’artista, che scopre nella fotografia un potente mezzo per raggiungere il mondo esterno. Non lascia la stanza neppure durante i cinquanta giorni di guerra tra Israele e Hamas nell’estate 2014 mentre La famiglia scappa da questo villaggio nella parte centrale della Striscia e si rifugia verso la città di Gaza. Lei rimane sotto i bombardamenti. La sua storia attirerà l’attenzione del New york times e poi a catena di testate giornalistiche di tutto il modo. Alla fine di gennaio 2015 avrebbe dovuto partecipare all’inaugurazione della sua mostra “Cento giorni di solitudine”, portata a Gerusalemme Est e in Cisgiordania dal Centro Culturale Francese, ma gli israeliani non le concedono il permesso di lasciare la Striscia. La svolta arriva nel settembre del 2015, grazie al lavoro diplomatico di Padre Ibrahim Faltas, responsabile dello Status Quo nella Basilica della Natività di Betlemme. Noto per aver partecipato alle dure vicende del conflitto tra Israeliani e Palestinesi durante l’assedio armato alla Basilica della Natività di Betlemme nel 2002.
Riesce cosi ad accogliere l’invito dei comuni di Montegrimano terme e Montecatini terme che saranno l’inizio di una nuova vita lontano dalla striscia di Gaza. Da qui in poi girerà il mondo, portandosi dietro la sua arte e la sua storia, conoscerà l’amore a San marino, dove si sposerà e inizierà un’ascesa importante per la sua carriera.
L’incontro con Nidaa
Durante l’incontro gli spunti di riflessione sono stati molti e i momenti salienti dati da emozioni crude e violente non sono mancati. Basterebbe citare la scena dell’arresto, nella quale i miliziani di Hamas attaccano Nidaa chiedendole provocatoriamente “Cos’è un artista donna?”, per poi farle il test della verginità forzatamente, solo perché si trovava in presenza di uomini . Più di altri però, sono stati centrali due punti durante il dialogo: L’insistenza nel sottolineare l’importanza della figura del padre, senza il quale non avrebbe potuto combattere , figura che lei stessa definisce illuminata in un contesto grigio e di repressione come quello di Gaza. L’appoggio della famiglia risulta fondamentale quando ti ritrovi il mondo contro. Altri tentativi simili al suo, sono stati bloccati sul nascere dalle stesse famiglie.
Il secondo punto invece vuole partire da una premessa che si era fatta all’inizio. Quella di evitare il più possibile l’argomento politico che si muove intorno all’intera carriera artistica di Nidaa Badwan. Tra le varie domande dal pubblico L’artista si riallaccia solo a una vicenda che la vede fronteggiare delle critiche che arrivano da esponenti di Hamas che l’accusano di danneggiare l’immagine di Gaza e della Palestina. Da qui parte la descrizione del rapporto con il conflitto che colpisce il suo paese. Si considera Vittima a tal punto da trascendere il resto. Dice di odiare Hamas per quello che le ha fatto, e di soffrire per la sua gente, ma di una sofferenza che ha smesso di cercare risposte nel dibattito politico. Cerca empatia da questo punto di vista, le vicende politiche sono secondarie, le fazioni ai suoi occhi tendono quasi a sovrapporsi, diventano un male comune.
L’artista palestinese concluderà l’incontro esprimendo anche la sua voglia di uscire da quel vestito di artista impegnata, ricercando forme più introspettive. (“What angel are you?” il suo ultimo progetto fotografico).
Esempio di come spesso la sofferenza non voglia dar spazio ad ulteriori interpretazioni.
Claudio Mariani