Visioni italiane è il festival dedicato dalla Cineteca di Bologna al cinema degli esordi che quest’anno è giunto alla sua trentesima edizione. Scandite in un ricco programma dall’11 al 17 novembre, le proiezioni si sono svolte per la prima volta nella splendida cornice del cinema Modernissimo.
Uno sguardo d’insieme ai cortometraggi di fiction consente di osservare delle micro-tendenze e formulare alcune ipotesi sul cinema italiano che verrà.
Esordire a Visioni Italiane
Esordire in Italia è difficilissimo. Per questa ragione una kermesse come Visioni italiane non rappresenta solo un appuntamento interessante per addetti ai lavori e appassionati, ma un’occasione indispensabile per i giovani autori italiani.
Nel corso della sua lunga storia infatti, il festival ha posto un riflettore sui primi lavori di innumerevoli giovani promesse tra cui si annoverano alcuni nomi ormai ampiamente affermati nel nostro panorama cinematografico come Matteo Garrone, Paolo Genovese e Pietro Marcello.
Se si considera che nel nostro paese la strada per il lungometraggio è lastricata di cortometraggi, si comprende bene l’importanza che un festival come Visioni italiane ha per consentire agli esordienti di avvicinarsi all’agognato traguardo.
Senza contare che il cortometraggio, con la brevitas e l’attenzione al dettaglio che lo contraddistingue, spesso consente ai giovani registi di osare moltissimo in termini creativi. Questa è la ragione per cui i cortometraggi più ispirati rappresentano delle piccole gemme in grado di condensare in pochi minuti poetiche visive e universi tematici in maniera efficace e incisiva.
Allo stesso tempo, è bene tenere presente la complessità che caratterizza il formato del cortometraggio, in cui si deve esprimere tanto in poco tempo, e si deve tenere conto della dimensione spesso artigianale e difficoltosa di molte produzioni.
Di certo, questi fattori fanno parte del fascino di un esordio: seguire i primi passi cinematografici di qualcuno significa saperne apprezzare l’autorialità senza esigere una maturità formale piena.
I concorsi e gli autori di Visioni italiane
Il festival degli esordi della Cineteca di Bologna si articola in varie sezioni in cui i film concorrono separatamente: oltre all’omonimo Visioni italiane, dedicato alla fiction, ci sono altre categorie che restituiscono la ricchezza del panorama dei corti e dei mediometraggi italiani. Queste categorie comprendono Visioni DOC, il concorso riservato ai documentari, Visioni ambientali e Visioni acquatiche, Fare cinema in Emilia-Romagna e Visioni sarde. Oltre alla proiezione dei film in concorso, il festival organizza molti momenti di incontro con i giovani autori che possono così discutere le proprie opere e vari eventi speciali come anteprime di lungometraggi d’esordio.
Nella sua presentazione all’edizione 2024, il direttore della Cineteca di Bologna Gian Luca Farinelli ha sottolineato un dato molto significativo: se all’alba della kermesse la prassi voleva che i giovani autori facessero scuola sui set, oggi invece la maggior parte dei selezionati proviene da un percorso di studio accademico in università pubbliche o importanti scuole di cinema.
Farinelli fa notare come questo cambiamento ha prodotto uno stuolo di esordienti che dimostrano di possedere delle competenze tecniche più affinate rispetto al passato e, in effetti, non si può negare che la qualità di questi lavori sia indiscutibilmente alta.
Un altro aspetto molto importante è legato alle anagrafiche degli autori selezionati: nelle due sezioni principali del festival, vale a dire i concorsi di fiction e documentari, i registi sono la maggioranza con 28 presenze, ma le firme femminili sono in continua crescita rispetto alle edizioni precedenti. Per quanto riguarda l’età dei registi, si va dai 22 ai 34 anni: questa diversificazione produce inevitabilmente una rifrazione degli sguardi in uno spettro molto ampio che spazia da immaginari più propriamente millennial fino a sensibilità più spiccatamente gen Z.
Quali visioni italiane?
Dopo aver assistito alle proiezioni di tutti i cortometraggi di fiction mi sono chiesta se, al dil à delle evidenti e necessarie peculiarità dei singoli film, ci siano delle linee di convergenza, dei percorsi condivisi o semplicemente delle tematiche comuni nell’humus di giovani autori italiani.
Il primo elemento da sottolineare è la predominanza del genere drammatico rispetto alla commedia. A questo proposito, sembra importante sottolineare che, nella maggior parte dei casi, gli autori preferiscono costruire dei drammi più sofisticati in termini visivi alle tonalità più tradizionalmente melodrammatiche. Le commedie puntano invece su una scrittura brillante e sulla ricerca di twist imprevedibili ed elettrizzanti.
Un altro esito della sezione Visioni italiane che lascia molto ben sperare è l’impressionante caratura dei quattro corti di animazione selezionati. Tutti i titoli in concorso sono riusciti a sviluppare delle identità visive uniche e riconoscibili, perfettamente allineate all’essenza della storia che hanno raccontato.
Si è distinto in particolar modo il cortometraggio Playing God di Matteo Burani, realizzato con la tecnica dello stop motion. Il film di Burani riesce a tradurre con un’animazione pastosa e inquieta l’angoscia della condizione umana e il suo rapporto di soggezione con la divinità. Riuscire a condensare la più universale delle esperienze in pochi minuti non era semplice, ma Playing God affonda le sue radici in archetipi intuitivamente riconoscibili e con la grande forza visiva del suo linguaggio riesce ad emozionare.
Isolati, integrati, non conformi
Sarà per la posizione centrale che le figure isolate hanno sempre rivestito nelle narrazioni, sarà per i tempi che corrono, ma è evidente che il cinema italiano dei giovani si lascia molto ispirare dalle storie di emarginazione. Fortunatamente, si potrebbe aggiungere: lungi dal limitarsi a riconfermare sistemi di valori sbiaditi e scontati, le narrazioni traggono la loro potenza dal ribaltamento e devono necessariamente dare voce a personaggi in qualche modo non conformi.
Non è un caso dunque che tra i corti selezionati, molti siano dedicati a storie di questo genere: un bell’esempio è rappresentato dal commovente Ultraveloci di Paolo Bonfadini e Davide Morando, incentrato su un insospettabile eroe che, seppur affetto da paralisi parziale che ne mina le capacità motorie e comunicative, riesce a fuggire da un pericoloso labirinto con la sua straordinaria intelligenza.
Ma anche la commedia sa essere molto efficace: Mignolo di Gianluca Granocchia ad esempio coglie bene il cinismo tutto contemporaneo di un giovane protagonista isolato nel suo lavoro di animatore per bambini. Il corto traccia una parabola semi-psicotica del ragazzo che si risolve nel lieto fine dell’incontro con un suo simile.
È inoltre molto interessante notare che sia proprio la commedia il genere con cui diversi giovani esordienti hanno scelto di affrontare quel volto dell’Italia di oggi rappresentato dai processi di integrazione. In corti come Ignoti di Giuseppe Brigante o Superbi di Nikola Brunelli (ma anche Sandeep! di Paolo Gentilella), il bigottismo sembra essere cancellato da una fragorosa risata.
Sceglie invece il tono drammatico Mathieu Volpe per il suo Eldorado, bellissimo esempio di cinema della migrazione in cui la metafora della montagna da scalare è un vero confine da superare con fatica, in tutti i sensi.
Criminalità a confronto
Se si considera quanto le narrazioni -cinematografiche e non- relative alla criminalità siano pervasive nella sfera culturale degli ultimi decenni, non stupisce affatto che molti giovani registi e sceneggiatori attingano a questo immaginario per i loro esordi. È tuttavia molto interessante notare come ogni autore abbia portato avanti delle riflessioni personali spingendo in direzioni diverse dello stesso universo.
Alpha di Anteros Marra trova ad esempio delle efficaci soluzioni visive per raccontare le dinamiche di una gang di provincia in cui, tra macchine distrutte e graffiti, prende forma il doloroso distacco tra uno dei ragazzi e il gruppo-famiglia di duri a cui appartiene.
Se in questo cortometraggio la criminalità è legata più che altro a un’esuberante violenza che riproduce modelli generalisti della cultura pop, più incisivo e sofferto è il taglio che Loris G. Nese dà al suo folgorante Z.O. In una Salerno in cui il presente si porta dietro i dissidi e i detriti del passato, tre adolescenti che si limitano a scimmiottare le dinamiche criminali finché sono chiamati alla realtà delle armi vere. La scelta visiva dell’animazione e l’ottimo montaggio restituiscono l’immagine di una generazione bloccata tra l’incapacità di interpretare fino in fondo il ruolo richiesto e l’impossibilità di scrollarsi di dosso l’eredità criminale.
Decisamente più leggero è invece Vado bene così di Paolo Emilio Addario Chieco, in cui il giovane regista mette in scena un simpatico conflitto generazionale la violenza verace con cui un padre ha fatto i conti in galera si scontra con l’ingenuità del mondo trap di suo figlio, fatto di pistole-giocattolo e dirette su Instagram, fino a un finale conciliante.
Molto divertente anche il cortometraggio Livandro di Alessandro Garelli e Mattia Capone, un action-movie dal sapore americano ambientato in una bocciofila in cui la figura nostrana dell’umarell si fonde a quella del cattivissimo narcotrafficante.
Infanzie
Con grande sorpresa per chi si aspetterebbe un’abbondanza di corti coming of age data la giovane età dei registi, lo sguardo di molti di giovani esordienti selezionati per quest’edizione di Visioni italiane è stato piuttosto rivolto all’infanzia. Anche in questo caso le poetiche vanno in direzioni discrepanti, ma spesso accomunate dal senso di scostamento o di scoperta perturbante che caratterizza l’età infantile.
Alcuni dei corti più complessi, ad esempio, vertono proprio sulla resa dei conti con un’infanzia mostruosa o dolorosa durante l’età adulta. Se Comunque bene di Beatrice Baldacci mette in scena una figlia che non riesce a perdonare l’abbandono di un padre con un taglio che lascia intravedere un possibile superamento del trauma infantile, Simone Polito fa una scelta più drastica.
Il suo La brava gente è un’esplorazione del male che, una volta penetrato nel bambino che lo subisce, è destinato a crescere nell’adulto fino a radicalizzarsi. L’ambientazione in campi e boschi dalle tonalità chiare e sognanti stride con la materia oscura del corto creando un interessante cortocircuito.
Ci sono poi le infanzie vere e proprie con i punti di visti stranianti e straniti dei bambini protagonisti di alcune storie, come ad esempio accade ne Il compleanno di Enrico di Francesco Sossai. Questo corto sfrutta un linguaggio visivo denso per raccontare le intuizioni del suo giovane protagonista all’alba del nuovo millennio. Anche Alessandro Rocca, regista del delicatissimo Sans dieu, dimostra di possedere una poetica visiva matura e interessante. Il suo cortometraggio trasfigura la realtà in cui due bambini giocano insieme e la trasforma in un luogo fatto di piccoli sguardi e innocenti fantasie in cui tutto è possibile, persino l’amore.
Un dittico di Visioni italiane
Il primato delle storie sull’infanzia nel panorama italiano è stato confermato anche dalla giuria di Visioni italiane che ha premiato come miglior cortometraggio di questa trentesima edizione del festival il film di Valentina Casadei intitolato Ronde nocturne.
Il corto vincitore è una produzione italo-francese in cui si racconta la difficile realtà genitoriale di un tassista che, non sapendo a chi lasciare sua figlia durante il turno di notte, è costretto a portare la bambina con se per le strade di una Parigi notturna e irrequieta. Il nuovo equilibrio famigliare si costruisce a poco a poco attraverso il contatto con i clienti che salgono sul taxi e si ritrovano loro malgrado invischiati in questa complessa dinamica famigliare. Casadei articola un linguaggio pulito e asciutto con cui potenzia un racconto contemporaneo, realistico e toccante.
Il premio per la miglior regia va invece a Giulia Grandinetti che, dopo la vittoria con il folgorante Tria a Visioni italiane 2022, ritorna con il corto Majonezë. La regista conserva l’attitudine a raccontare vicende di prevaricazione famigliare convergenti su protagoniste femminili irruente che devono vedersela con sistemi oppressivi. Questa volta Grandinetti lascia da parte la struttura distopica per dedicarsi a una trama in cui uno storico conflitto etnico prende le forme di una lotta intima e famigliare. Ma in un mondo di uomini che tentano di soggiogarla, la protagonista di questa storia è una variabile imprevedibile e indomabile, proprio come il titolo di questo corto o la regia di Grandinetti, che non ha paura di prendersi dei rischi.
Infine, Visioni italiane
In conclusione, il panorama offerto da quest’edizione di Visioni italiane risulta frastagliato e diversificato, ma sono comunque riconoscibili alcune tendenze come quelle che sono state evidenziate. Naturalmente, ogni emergente ha fatto le scelte più consone alla propria visione di cinema optando per soluzioni più o meno tradizionali per avvicinarsi con concretezza allo sviluppo di una propria poetica. Si spera adesso che questo parterre di giovani registi e professionisti del cinema italiano non finisca per impantanarsi nelle ostiche dinamiche produttive del nostro paese in modo da arrivare al lungometraggio.
Spesso si sente dire che, con qualche eccezione, il cinema in Italia ha poco da dire. Visioni italiane smentisce questa diffusa credenza e la capovolge: il cinema di domani è consapevole, innovativo e potente.
Ciò che emerge è che oggi gli autori ci sono e sgomitano.
Sta al pubblico andare in sala e stare a guardare.