Perché studiamo il latino
“Prof, ma perché dobbiamo studiare il latino?”
A dirlo, o meglio a sbuffarlo, è una mia studentessa che sfoglia distrattamente il libro con un’espressione sofferente. “Ma infatti, prof – continua un altro – tanto è una lingua morta”.
La domanda, lo so, sorge spontanea quando il lunedì alla prima ora ci si scontra con lo scoglio invalicabile di declinazioni e casi. Una domanda assolutamente lecita a cui ho deciso di portare una risposta sostenuta da Nicola Gardini e dal suo Viva il Latino: storia e bellezza di una lingua inutile (Garzanti, 2016).
La società del fare
Non è inusuale nel tempo corrente dare precedenza a ciò che è “pratico”, tanto da averne disteso a tal punto il significato fino a snaturarlo. Tutto deve avere un’immediata applicazione che sia realistica e tangibile. Di qui anche ciò che studiamo deve corrispondere a una funzionalità quanto più percettiva possibile, per corrispondere all’inscindibile binomio apprendimento-sfruttamento. E dunque nella frenesia del fare, il latino non trovare una posizione spendibile. Dice Gardini: per difendere il latino bisogna comunque avvalersi di argomentazioni che lo rimandino ad un uso immediato. Il latino apre la mente, insegna un metodo, abitua alla cura sintattica-morfologica.
Ma se il latino fosse solo questo, una palestra allora tanto varrebbe studiare altre lingue complesse, come il tedesco,il russo, l’area o, il cinese, che sono pure utilizzabili nella comunicazione corrente [..]no,lo studio del latino, non deve essere finalizzato a rendere semplicemente più agili le meningi.
Ora nulla da criticare ad un assetto volto più all’applicabilità, che risponde a bisogni contemporanei immediati, ma ad oggi sembra che dedicarsi allo studio per interesse, per passione, per un senso di memoria collettiva, si traduca in uno spreco. Uno spreco di risorse, di energia, di denaro e di tempo, come se fin dalla scuola la nostra produttività debba essere misurata in scala industriale.
La vittoria del più forte
L’opposizione di chi, come definisce Gardini, è un “inutilista” verso il latino si costruisce in primis attorno alla definizione del latino come di lingua morta, ovvero come esplica la Treccani “una lingua non più usata da nessun parlante (come, per es., il gotico), o, che pur essendo adoperate da persone che se ne appropriano attraverso lo studio (come il latino), non sono parlate in una comunità linguistica organica né trasmesse di padre in figlio”.
Eppure, se la lingua viva é tale perché prospera, tramandata di generazione in generazione, il latino ha superato secoli di storia passando tra le mani di milioni di esseri umani.
In questa lotta linguistica la memoria culturale del latino sembra venire meno per un’applicazione non percettiva ma intellettiva eppure questa deve mantenere un certo valore se sia il figlio di un generale romano dispiegato ai confini dell’impero (come attestato da ritrovamenti archeologici) e uno studente italiano contemporaneo si trovano a studiare gli stessi argomenti.
Dunque, benché abbandonata nel parlato, il latino mantiene una sua dignità, quella della comunicazione collettiva, del legame storico accademico con una potenza imperiale che ha strutturato la nostra società.
La grande bellezza
Ed è questa la grande bellezza del latino. La conservazione di una lingua che ci racconta la storia, l’emozione di tradurre testi composti centinaia di anni fa. Studiamo il latino per la sua bellezza, per porci nel tracciato di un linguaggio storico. L’apporto di una tale materia conferisce un incredibile potere linguistico allo studente, quello di traslare un’idioma che appare, ed é, così distante nella propria lingua, approcciandosi alle domande che il lavoro di traduzione ispira. Nel comprendere il nostro linguaggio da un differente punto di vista, compiendo scelte critiche necessarie per la migliore comprensione.
Ed é dall’altra parte responsabilità del docente svelare questo volto benevolo e intrigante del latino, comunicando l’importanza di farsi nuovi amanuensi, raccontando come ogni elaborato di traduzione sia dare nuova vita, un nuovo veicolo comunicativo alla lingua di Cicerone, di Cesare.
Il latino é un viaggio in una civiltà a cui siamo indissolubilmente legati che consiglio a chiunque di intraprendere, sopratutto per la soddisfazione di riuscire (dopo non lo nego diversi tentativi ) ad inserire quella chiave di volta capace di dislegare davanti ai nostri occhi racconti centenari di voci immortali.