Vincitore del Prix du scénario a Cannes, The substance è stato distribuito nelle sale italiane a partire dal 30 ottobre. Il film di Coralie Fargeat è un body horror da manuale che sviluppa il tema dell’ossessione per la bellezza fino alla degenerazione maniacale. In questo senso, la pellicola si presta ad essere posta in relazione alle implicazioni liberatorie del mostruoso.
Elisabeth vs. Sue
L’ossatura narrativa di The substance si basa su un high concept tanto disturbante quanto attraente: la sostanza che intitola il film non è altro che una nuova tecnologia in grado di produrre la versione perfezionata di chi decide di iniettarsela.
Elisabeth Sparkle, star televisiva cinquantenne, vede nella fiala fosforescente della sostanza la promessa di una nuova gioventù. Messa alle strette dal licenziamento, la protagonista genera attraverso un’aberrante mitosi la giovanissima e bellissima Sue, pronta a sostituirla alla conduzione del suo famoso programma di aerobica. Pur di sfuggire alla vecchiaia, Elisabeth sceglie dunque di con condividere tempo e linfa vitale con Sue, alternandosi con lei di settimana in settimana. Tuttavia, ben presto la giovane replicante sviluppa un potente senso di emancipazione nei confronti della sua matrice e tra le due si genera una cruenta lotta per la sopraffazione.
L’impianto drammaturgico di The substance sembra riprendere in chiave sci-fi il cult Eva contro Eva, ma strizza l’occhio anche a Biancaneve, grande archetipo del conflitto vecchia-fanciulla. I modelli risultano però quasi irriconoscibili a causa della struttura body horror, che iscrive il conflitto della pellicola in un sistema simbolico totalmente corporeo.
Sul Body horror
È opinione diffusa che nessun discorso sul body-horror possa essere portato avanti senza tirare in ballo il regista-simbolo del genere, David Cronenberg. Naturalmente, capolavori come La mosca o Videodrome hanno scolpito questo genere cinematografico in maniera irreversibile. Tuttavia, è bene ricordare che anche altre opere (come il pionieristico Chien Andalou della straordinaria coppia Dalì/Bunuel) hanno sviluppato l’immaginario body horror. Si pensi in questo senso a Titane, eclatante e controversa Palma d’oro del 2021, nel quale la regista Julie Ducournau ha manipolato il genere per creare un commovente racconto sulla promessa di una umanità mostruosa capace di amore.
In linea di massima, il body horror si configura come racconto della dissoluzione e riconfigurazione del corpo attraverso la manifestazione esplicita dei processi trasformativi interni ed esterni che agiscono su di esso. I film di questo genere sono solitamente difficili da guardare e inducono spesso un senso di repulsione da parte dello spettatore a causa delle immagini estreme che li caratterizzano.
A differenza del film horror classico dunque, il body horror é il genere in cui la paura scaturisce dalla sconvolgente esperienza dell’anomalia e deformazione del corpo. La difficoltà dello sguardo è legata al fatto che, essendo il dolore fisico un’esperienza universale, lo spettatore avverte le raccapriccianti sequenze che guarda come qualcosa che istintivamente lo riguarda.
The substance, sebbene meno crudo del già citato Titane, non fa eccezione in questo senso. Per quanto sia abbastanza insolito per il codice di genere assistere a una mitosi corporea, si può affermare che la lotta tra Elisabeth e Sue sia a tutti gli effetti una lotta tra corpi a colpi di iniezioni e trasfusioni che si gioca unicamente nella dimensione carnale.
E The substance é in un ultima analisi una lotta per il corpo.
Corpo normativo in The substance
La grande intuizione narrativa di The substance è stata sicuramente quella di istituire un rapporto di contrappasso tra i corpi di Elisabeth e Sue. Infatti, ogni volta in cui quest’ultima viola i turni di alternanza tra lei e la matrice per godersi più tempo in un mondo che la adora, Elisabeth subisce un orripilante invecchiamento.
Attraverso questo stratagemma, il film di Fargeat traduce in termini visivi la conflittualità contemporanea tra corpo normativo e corpo mostruoso che rappresenta uno dei capisaldi del body horror: la giovane e bellissima Sue da un lato ed Elisabeth dall’altro.
È proprio grazie alla disintegrazione del corpo normativo che il body horror si presta perfettamente a ribaltare paradigmi condivisi in termini mostruosi.
Lo stratagemma del corpo doppio permette, dunque, di mettere in scena la dissipazione del corpo non più normativo di Elisabeth fino alla sua degenerazione mostruosa. In questo senso lo spettatore assiste alla sua progressiva dissipazione ad opera della personificazione stessa della desiderabile Sue, nuovo corpo normativo, che la sostituisce e prosciuga.
Rispetto alla contaminazione tipica di questo genere cinematografico, The substance sceglie la via della scissione del corpo per rendere visivamente il rifiuto del corpo deviante (prima perché vecchio e poi perché mostruoso). Questa scelta è giustificata dalla volontà di raccontare un conflitto che deve essere inquadrata in un orizzonte consumistico nel quale il valore della protagonista è determinato dalla sua attrattiva commerciale.
The substance e i corpi-prodotto
È importante tenere presente che sia Elisabeth che Sue non sono corpi qualunque, ma piuttosto corpi-prodotto: la ragione che getta la prima in pasto alla sostanza è la perdita del suo programma di aerobica. Elisabeth è essenzialmente un corpo che non vende più.
Jay McRoy, uno dei più importanti teorici del Body horror, ha sottolineato come questo genere sia caratterizzato da una evidente opposizione alle narrazioni dominanti del capitalismo occidentale.
Che The substance sia un film che estremizza alcuni meccanismi sociali tipici della società contemporanea è evidente nella messa in scena di gusto artificiale e posticcio, ma anche nella narrazione. Buona parte della critica ha infatti immediatamente sottolineato come il vero motore della narrazione sia di fatto il male gaze, incarnato dal direttore della rete televisiva che licenzia la protagonista. Ma di sguardo maschile sono intrisi anche i cartelloni pubblicitari che mostrano i corpi delle due donne per le strade o la telecamera che riprende i balletti ammiccanti e iper-sessualizzati di Sue.
Per semplificare il più possibile il modo in cui la matrice consumistica sfrutta la struttura body horror, si può ragionare in questi termini: Elisabeth cerca di riappropriarsi del corpo normativo che ha perso a causa della vecchiaia generando un nuovo corpo-prodotto con l’aiuto della sostanza. In questo modo, la protagonista pensa di poter riconquistare un posto all’interno della società che l’ha rifiutata. Ma questo agognato ritorno si rivela una cruenta chimera.
Proprio come un prodotto si impone sul mercato a scapito dei modelli precedenti, allo stesso modo il nuovo corpo normativo di Sue procede a consumare quello obsoleto della sua matrice. E ne fa un mostro.
In ultima analisi, il dramma di Elisabeth non è che la tracotanza al tempo del tardo-capitalismo.
Mostruoso e liberazione
In un fondamentale saggio dedicato all’abiezione, la psicoanalista Julia Kristeva ha scritto che l’orrore può essere inteso come rievocazione di elementi primitivi percepiti come pericolosi, come ad esempio la femminilità non mediata. Questa osservazione spiega molto bene il massiccio filone horror che ha ridiscusso le identità della donna attraverso protagoniste in qualche modo devianti: si pensi a Suspiria, Carrie, Midsommar o il già citato Titane.
Ciò che è importante tenere presente è che in tutti questi casi l’esperienza della femminilità mostruosa delle protagoniste porta a una liberazione di qualche genere. Considerando infatti la centralità del corpo femminile nelle dinamiche di potere che contraddistinguono la contemporaneità, è evidente che l’impiego del body horror permetta di tradurre sulla carne delle eroine i sistemi di controllo che la società impone alla donna per poi liquefarli nel corpo mostruoso.
In questo senso, si può affermare che solo il corpo mostruoso è un corpo libero perché oltrepassa le imposizioni normative ed è simbolo di un’eccezionalità in grado di turbare l’ordine sociale.
The substance e l’emancipazione
Come si è detto, The substance racconta la volontà cieca di aderire a un canone di bellezza che risulti attraente per lo sguardo maschile in termini primariamente consumistici. Da questo punto di vista, la ripugnanza del corpo di Elisabeth corrisponde alla sua emancipazione perché la pone al di fuori delle dinamiche di consumo basate sulla desiderabilità.
Tuttavia, è bene precisare che a differenza di altri film dello stesso genere in cui le protagoniste abbracciano la propria soggettività mostruosa come atto di rivendicazione rispetto alla società che le ostracizza, The substance sembra muoversi in un orizzonte più ambiguo. Di fronte all’epilogo, sembra infatti opportuno chiedersi se la storia di Elisabeth/Sue si concluda con una liberazione o piuttosto con una capitolazione definitiva.
In ogni caso, si possono infine ricordare le parole con cui la regista di Titane ha salutato il pubblico di Cannes: la mostruosità è un’arma per spostare i muri della normalità. Grazie per aver lasciato entrare i mostri.