“La madre di tutte le riforme”: il Premierato di Giorgia Meloni

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Venerdì 3 novembre 2023 il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e del Ministro per le Riforme Istituzionali Elisabetta Casellati ha approvato un disegno di legge per l’introduzione dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio e la razionalizzazione del rapporto di fiducia. 

I cinque punti del disegno di legge

Il testo del disegno di legge non è stato ancora pubblicato, ma i contenuti sono stati riassunti in un comunicato stampa da parte del governo. Gli obiettivi della riforma sono il rafforzamento della stabilità dei governi e una più semplice attuazione degli indirizzi politici di medio-lungo periodo. La consolidazione della democrazia può avvenire solo con una maggiore valorizzazione del corpo elettorale, favorendo la coesione degli schieramenti elettorali e superando il trasformismo parlamentare. Ha dichiarato la Meloni durante il comunicato.

La riforma si ispira ad un criterio minimale di modifica della Costituzione Italiana vigente ed è composto da cinque punti che ne modificano quattro articoli.

Giorgia Meloni annuncia il ddl Casellati sull'elezione diretta del presidente del Consiglio
La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni durante il comunicato stampa del 3 novembre, al suo fianco i Ministri Salvini e Tajani. (Credit: Il Messaggero)

L’elezione diretta del Presidente del Consiglio

Con l’introduzione dell’elezione popolare diretta del Presidente del Consiglio, contemporanea alle elezioni per le Camere, verrebbe modificato l’articolo 92 della Costituzione.

La durata dell’incarico del capo di governo è stata fissata a cinque anni. È stato introdotto anche un premio di maggioranza del 55% dei seggi del Parlamento per la coalizione che esprime il Capo di governo. Su questo punto deve ancora essere proposta una modifica della legge elettorale e rimane aperta la questione del ballottaggio.

Norma “anti-ribaltone”

La previsione della norma anti-ribaltone, voluta da Lega e Forza Italia, modifica l’articolo 94 sul rapporto di fiducia. Essa sancisce che entro dieci giorni dalla formazione del nuovo governo esso debba presentarsi alle Camere per ottenere la fiducia. Se ciò non avviene il premier può fare un altro tentativo: infatti, il Presidente della Repubblica gli rinnoverà l’incarico. Se non la ottiene nuovamente, vengono sciolte le Camere e si va a votare. In caso di dimissioni, impedimento o sfiducia delle Camere, il Capo di Stato può affidare l’incarico al Presidente del Consiglio dimissionario o ad un altro parlamentare della maggioranza che persegua il programma politico del Premier eletto. 

Nonostante questa norma ponga un termine ai governi tecnici, Meloni ha dichiarato di essere favorevole anche ad una soluzione che preveda il ritorno alle urne.

Revisione dei poteri del Presidente della Repubblica

Con la modifica dell’articolo 88 della Costituzione si elimina la possibilità, da parte del capo di Stato, di sciogliere le Camere. Infine, abrogando il secondo comma dell’articolo 59, viene meno la possibilità per il Presidente della Repubblica di nominare i nuovi senatori a vita. 

Le opinioni contrastanti sugli effetti della riforma

In Italia l’instabilità governativa è altresì causata dal poco coinvolgimento che il corpo elettorale ha nella genesi e nel mantenimento dei Governi di Legislatura. Ciò accade quando, in mancanza di un esito decisivo delle elezioni parlamentari, i gruppi partitici non sono in grado di stabilire patti di coalizione post-elettorali che restino fedeli al leader pre-indicato agli elettori dalla forza di coalizione più votata. Dunque, l’obiettivo della riforma consiste nel superamento di questa distanza tra gli elettori ed il Capo di Governo. 

Contrariamente alla stabilità ricercata, questa riforma potrebbe causare il ricorso ad elezioni automatiche per ogni crisi. Un ricorso alla formula simul stabunt simul cadent, utilizzata per Comuni e Regioni, creerebbe un sistema troppo rigido per un livello nazionale. Le critiche alla riforma sono rivolte proprio alla scelta del Premierato. L’unica volta in cui un paese ha deciso di ricorrere al Premierato è stato nel 1996 in Israele. Ma il continuo ricorso ad elezioni anticipate e la conseguente instabilità hanno favorito il ritorno al parlamentarismo standard. Perché adottare un modello che non esiste in nessun’altra democrazia al mondo? Ma soprattutto perché emulare un sistema che nella prassi si è rivelato inadatto ad una maggiore stabilità?

In questo periodo storico la politica ed il successo elettorale non dipendono più tanto dalla condivisione di valori bensì dall’identificazione con una personalità di spicco. Dunque il voto diventa esposto alle mode e legato alle tendenze. Ne consegue che un leader votato e apprezzato oggi, possa non esserlo più in breve tempo sia a causa della crescente rivalità politica, sia a causa del peso subdolo dell’opinione pubblica.

Per questi motivi l’elezione diretta del Presidente del Consiglio potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, diventando causa di ulteriori instabilità politiche.

Confronto tra maggioranza e opposizione

La maggioranza si aspettava un atteggiamento ostruzionistico da parte dell’opposizione, che aveva già avanzato le proprie rimostranze nei confronti della riforma. Per questo motivo il Governo Meloni ha deciso che l’iter del Premierato comincerà dal Senato, limitando la possibilità dell’opposizione di rallentare il disegno di legge. Così facendo il governo può anche contare sul sostegno del presidente del Senato Ignazio La Russa, anziché sul presidente della camera Lorenzo Fontana

Questo atto ha provocato la reazione avversa dell’opposizione poiché oltre al tentativo di limitare il confronto dell’opposizione in Parlamento, tale decisione sembra essere legata ad uno scambio con la Lega sul ddl Calderoli sull’Autonomia differenziata.

PD e Movimento cinque stelle temono un eccessivo ridimensionamento dei poteri del Capo dello Stato e uno svuotamento del parlamento, nonostante la Meloni rassicuri “il ruolo del presidente della Repubblica è di assoluta garanzia e noi abbiamo deciso di non toccarne le competenze, salvo l’incarico al presidente del Consiglio”. 

 Elly Schlein contro la riforma dell'elezione diretta del Presidente del Consiglio
Elly Schlein contro la riforma del Premierato, (Credit: Il Corriere)

“Facciamoci qualche domanda se il premierato non esiste in nessun altro Paese. C’è stato in Israele per qualche anno, poi sono tornati indietro perché evidentemente è un sistema che sradica l’equilibrio dei poteri della Costituzione. È una riforma che indebolisce ulteriormente il Parlamento, e non ne abbiamo bisogno davanti a un governo che si sta dimostrando campione nell’uso e nell’abuso della decretazione di urgenza”

Esordisce così Elly Schlein in diretta a La7, definendo la riforma come “un disegno pericoloso, uno stravolgimento della Costituzione”.

Le opposizioni sono allineate nel pensare che la Meloni dovrebbe dimettersi se dovesse perdere il referendum. “Meloni si deve dimettere se perde il referendum sulle riforme? Ci sarebbero già motivi per farlo, ma sicuramente se definisci questa la ‘madre di tutte le riforme’, non puoi fischiettare e non trarne le conseguenze”. Afferma Chiara Braga, capogruppo del PD alla camera.

Anche Maria Elena Boschi, deputata di Italia viva ed ex ministra per le Riforme Costituzionali, critica la riforma. Punti critici sono: il mancato superamento del bicameralismo, la mancanza del ballottaggio, l’assenza del limite nei mandati e l’impossibilità del premier di nominare e revocare i ministri. Matteo Renzi dice “sì all’elezione diretta, no ai pasticci”.

Il percorso di approvazione

Trattandosi di una riforma costituzionale, il percorso di approvazione è più complicato rispetto alla maggioranza semplice alle due camere necessaria per una normale legge.

L’articolo 138 della Costituzione Italiana, prevede una procedura speciale le modifiche costituzionali. Camera e Senato devono approvare la proposta di riforma costituzionale due volte nel medesimo testo. Se nella seconda votazione entrambe approvano il testo a maggioranza dei due terzi, la proposta viene considerata approvata. Se ciò non avviene, la riforma costituzionale può essere sottoposta a referendum confermativo. Questo iter prevede che il disegno di legge passi da una camera all’altra, fino all’approvazione nella stessa formulazione in ambo le camere. Dopodiché si ha la promulgazione da parte del Capo dello Stato e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Le modifiche al testo

Alcuni punti del testo potrebbero essere soggetti a modifiche, come la norma anti-ribaltone, il tetto al numero dei mandati e il premio di maggioranza. Di conseguenza il centrodestra non ha momentaneamente i numeri sufficienti all’approvazione in nessuna delle due camere e nonostante ciò ostenta sicurezza. La Russa ha dichiarato di sperare in una maggioranza dei due terzi per non dover passare dalla consultazione popolare “È difficile, ma io ci spero e lavorerò per questo obiettivo. Se le opposizioni vogliono migliorare la legge troveranno ascolto, se invece preferiscono non cambiare nulla lasciando che siano gli accordi politici, a volte poco trasparenti, a scegliere i premier, non arriveremo ai due terzi. A quel punto, sarà il referendum a decidere”.

Il destino del disegno di legge

Se la riforma venisse approvata definitivamente, sarebbe la ventunesima riforma costituzionale dal 1948 ad oggi e la prima riguardante la forma di governo. In ogni caso entrerebbe in vigore dal primo scioglimento delle Camere dopo la sua approvazione, quindi nel 2027 considerando la scadenza naturale della legislatura.

La Casellati si dichiara pronta a proseguire il confronto con le opposizioni, anche se con qualche esitazione “Mi chiedo: questo confronto a cosa ha portato? Lo dico non perché non voglio farlo, ne ho fatto una cifra della riforma costituzionale, ho ascoltato tutti ma oggi mi ritrovo che ho parlato con persone che sono rimaste sorde e a partiti rimasti sordi rispetto a quei passi all’indietro che abbiamo fatto. Noi siamo partiti, nel nostro programma elettorale, con l’elezione diretta del presidente della Repubblica e di fronte alle perplessità, abbiamo rinunciato pensando a un premierato. Confronto significa possibilità di scambio, non scrivere una norma sotto dettatura”.

Il governo ribadisce l’obiettivo di conquistare il primo via libera del ddl Casellati entro le Europee e la realizzazione dell’eventuale referendum nel 2025, anche se queste tempistiche dipenderanno dall’esito dell’iter nelle due Camere.

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