Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Tutti la conoscono, tutti la citano, tutti la scrivono su Facebook. Usavo questa frase da bambina, quando per scrivere frasi a effetto chiedevo aiuto ad aforismi.it. Poi, un giorno, ho deciso di leggere un libro enorme, appoggiato sulla libreria di mio padre.
Hotel Dante è la performance teatrale di cui non pensavamo di avere bisogno. In scena dal 22 marzo al 2 aprile al Teatro di Documenti di Roma, lo spettacolo è una vera e propria confessione che coinvolge tanto i morti, quanto i vivi.
Hotel Dante: una splendida festa di morte
Non sai di voler toccare la tua anima fin quando non ce l’hai davanti. Non senti di aver bisogno di parlare con qualcuno che ha passato millenni a tacere fin quando è proprio lui a guardarti negli occhi. Al Teatro di Documenti il silenzio rimbomba nelle stanze. Voci sparse, lamenti che plasmano melodie, vesti candide indossate da morti che chiedono solo di essere ascoltati. Hotel Dante si serve della macchinazione ideata dal celebre poeta e chiede al pubblico di ascoltare, in silenzio.
Nelle stanze del Teatro di Documenti sembra quasi di fluttuare; l’atmosfera gelida e eterea accompagna la performance ideata da Roberto D’Alessandro nel nóstos dantesco. Gli attori si spogliano dei loro peccati e del loro pragmatismo terreno per regalare al pubblico un’idea vicina all’immortalità.
Bruto, Giuda, Beatrice, Francesca da Rimini non sono mai morti. Sono qui, davanti a noi. Non si raccontano con le parole con le quali Dante li rese eterni, ma con la loro interiorità umana, attraverso la semplicità di uomini che bramano nella speranza di essere compresi o, semplicemente, perdonati.
Lo spazio ristretto, quasi angusto, permette allo spettatore di guardare singolarmente le anime negli occhi, ascoltare le loro confessioni e mescolare le sorti alle quali erano stati destinati. Non c’è distinzione tra santi e dannati, l’identità dell’interlocutore non è mai svelata, autorizzando il pubblico ad una forma di giudizio spoglia da ogni tipologia di preconcetto morale.
Le anime dantesche vagheggiano e attendono un nuovo processo da parte di un nuovo censore, lo spettatore. Poche parole, quelle che bastano per concedere al pubblico di aprire una nuova stanza, con una nuova chiave.
Quattro chiacchiere con il regista Roberto D’Alessandro
Da cosa nasce l’idea di Hotel Dante?
L’idea dello spettacolo nasce da un mio amore sconfinato per la Commedia in generale e dall’idea di rappresentarla proprio al Teatro di Documenti, teatro pensato da Luciano Damiani in termini circolari. Damiani è il più grande scenografo del ‘900, ha comprato queste grotte del ‘600 e per anni ha costruito questo labirinto mentale, il giro giusto da fare con la Commedia. Quando ho pensato ai progetti esecutivi mi sono reso conto che sarebbe forse risultato complicato perché la Commedia ha un’immaginifico sconfinato, come puoi metterla in scena se non raccontandola? L’idea quindi, per quanto banale, era quella di far parlare i personaggi in prima persona; Dante giudica tutto il mondo che conosce, è il censore morale e etico del 1300. Alla fine però, quest’opera colpisce così tanto? Perché racconta centinaia di storie e mille vite diverse. Appassiona. Tanto.
Ascoltando i diversi monologhi è inevitabile non assistere ad un capovolgimento morale. Sembra che la società riesca a “tollerare” di più quello che potrebbe essere definito il male (rimanendo incastrati in un pensiero prettamente cristiano). Ho notato che, ad esempio, un personaggio come Giuda è posizionato da molti al paradiso, contrariamente da quello che ci si aspetterebbe. Il cambio di prospettiva rispetto alla moralità da cosa dipende, secondo lei?
Noi siamo nel 2023, Dante scrive la commedia nel 1300. Il poeta porta la summa del sapere della sua epoca il cui mondo era dominato dal Dio cristiano e vendicativo. Adesso quel Dio non esiste più. Il Dio è il denaro. Se oggi ascoltiamo le parole di Giuda o Francesca da Rimini, perché dovremmo punirli? Se si legge la vicenda con gli occhi cristiani, Giuda è il traditore per antonomasia, tant’è che Dante lo immagina all’inferno con la testa nella bocca di Lucifero. Questo cambio di moralità dopo 800 anni è davvero evidente e ci fa pensare. Un personaggio come Giuda non è più un peccatore ed è degno del paradiso. Questa dinamica altro non è che una forma di manipolazione: percepisco non quello che voglio, ma quello che l’interlocutore vuole che io percepisca.
A conclusione di dieci giorni di Hotel Dante, l’idea di partenza è stata soddisfatta?
Assolutamente sì. Per questo progetto sono state coinvolte più di quaranta persone. Ci penso da novembre scorso e abbiamo lavorato assieme per più di un mese. Spero di trovare anche altri posti in cui poter rappresentare Hotel Dante, ad esempio un Overlook Hotel alla Shining.
Secondo lei nel 2023 cosa resta di Dante e perché parlarne ancora?
È importante parlarne perché è attuale, perché presenta l’infinito umano in tutte le sue forme. Lavoreremo sempre di più per raccontare ogni sfumatura di questo infinito. La Commedia è senza dubbio il poema fondante della letteratura italiana ed è bizzarro vedere come ci sia un’unità letteraria tanto forte, ma non un’unità politica altrettanto radicata. Il poema dantesco ha ancora una grande attualità; è necessario parlarne soprattutto per i giovani, affinché anche loro abbiamo l’ardore e la fortuna di uscire a riveder le stelle (ndr).
Testi Roberto D’Alessandro, Federico Valdi, Alessandro Carvaruso, Cloe Filippi, Giuseppe Coppola, Massimiliano Viola, Giorgia Cappello, Salvatore Rosella.
Nella hall Alessandra De Pascalis, Roberto D’Alessandro, Federico Pappalardo.
Nelle stanze Massimiliano Viola, Francesca Cordioli, Giuseppe Coppola, Bruno Petrosino, Cloe Filippi, Lorenzo Carnevali, Lorenzo Martinelli, Salvatore Rosella, Alessandra De Concilio, Nicolò Berti, Miriam Campione, Salvatore Andrea Spina, Emanuele Russo, Marco Giandomenico, Andrea De Luca, Chiara di Bartolomeo, Andrea Lami, Federico Valdi, Letizia Raimondi, Sara Todisco, Silvio Pennini, Andrea Memoli, Gaia Occhinero.
Regia Alessandro Carvaruso, Matteo Fasanella, Paolo Orlandelli, Roberto D’Alessandro.
Assistente alla regia Giorgia Cappello.
Scene e costumi Roberto D’Alessandro, Federico Rossini, Ines Zagame, Lucia Bordona, Giada Tassi.
Musiche a cura di Federico Pappalardo.