L’odierno Capodanno: lo specchietto del benessere sociale
Non vi è occasione migliore di tirare le fila dei mesi trascorsi, che l’avvicinarsi dell’ultimo giorno dell’anno. Si indulge in piccole superstizioni culturali, rituali di festeggiamento necessari a tracciare il confine temporale tra l’anno appena concluso ed il successivo, ci si sofferma a riflettere sulle scelte effettuate, sulle esperienze vissute.
Condividiamo il nostro Spotify o dating wrapped, si editano reel e video ricordo dei mesi trascorsi, e ogni piattaforma, servizio, azienda, ente pubblicizza strumenti e prodotti creati ad hoc per la celebrazione del cosiddetto Capodanno. Si risponde alla chiamata sociale che impone lustrini e spumante. Per il marketing una delle festività più redditizie, come per il settore della ristorazione. Ma a livello socio-economico la fine dell’anno assume i tratti di una cartina di tornasole del benessere sociale. Come, dove e se lo festeggeremo divengono, nel momento corrente, espressioni della pressione fiscale avvertita nel corso del 2022, come dimostra dallo studio del Confcooperat.
Capodanno o San Silvestro?
Linguisticamente parlando, negli ultimi anni è passata, nel gergo comune, la tendenza ad accorpare due differenti momenti, la fine dell’anno e l’inizio del nuovo, sotto la stesso termine Capodanno. Ma attenendoci al calendario, per tradizione, il 31 dicembre celebra la dipartita di Papa Silvestro I. La Chiesa, nel corso degli anni restaurò la figura del pontefice, elevandolo ad esempio di vera cristianità, creando attorno alla figura di Silvestro I un immaginario particolarmente sentito. Così si finì a far coincidere il Papa con l’idea di un traghettatore temporale, la cui morte a cavallo del nuovo anno era di questo prova. Realmente la figura di Silvestro ebbe una minima influenza nel corso del suo operato, venendo adombrata dalla prorompente personalità di Costantino, che relegò il potere spirituale delle Chiesa a mero officio.
Una confluenza di tradizioni
La definitiva scelta di porre l’inizio del nuovo anno al primo di Gennaio, secondo le prime risale all’introduzione del calendario giuliano nel 46. a.C., per scelta di Giulio Cesare, spodestando la precedente celebrazione voluta da Numa Pompilio, che vedeva nel primo marzo i festeggiamenti del Capodanno. Si è successivamente compreso che la personalità di Quinto Fulvio Nobiliore è imputabile al cambiamento, quando nel 153 a.C., per necessità politiche, chiese di poter entrare in Senato nel momento della sua elezione a Dicembre.
Dunque, da una celebrazione primaverile, l’anno nuovo divenne, ai tempi dell’antica Roma, festa in onore di Giano, dio bifronte che guardava al passato e al futuro, da cui prende nome il mese di Gennaio. L’usanza, già in vigore tra gli etruschi, di adonarsi del colore rosso in ambiti festivi e di celebrazione venne accolta nella cultura latina e, consolidatasi, è pervenuta fino ai nostri tempi. Così come il consumare lenticchie, come rito propiziatorio, deriva dall’usanza di regalare una scarsella, antico portamonete, riempita di lenticchie, la cui forma ovale richiamava quella delle monete. I lauti banchetti in onore del dio sono divenuti gli attuali cenoni, più consacrati alla frenesia consumista che a divinità agricole.
Capodanno d’autore
Dalle festività romane per Giano, l’inizio del nuovo anno ha vissuto un’esistenza rocambolesca. Nonostante la maggior parte dei paesi europei avessero adottato il calendario giuliano, nel corso dei secoli la celebrazione del tempo venturo seguiva un ventaglio piuttosto ampio di datazioni: marzo, dicembre, aprile, fino alla regolamentazione ufficiosa di Papa Innocenzo XII, che impose, secondo lo stile gregoriano, che i buoni cristiani celebrassero la vigilia del primo di gennaio.
Questa ossessione temporale, condizionata per secoli da imposizioni religiose, culturali e sociali, è confluita nella letteratura in malinconiche elucubrazioni, in uomini di poesia che vedevano nel culmine del festeggiamento uno spiraglio sulla morbosità dell’uomo.
Così infatti nel 1968 scriveva Eugenio Montale:
Tra poche ore sarà notte e l’anno
Fine del ’68, Eugenio Montale
finirà tra esplosioni di spumanti
e di petardi. Forse di bombe o peggio,
ma non qui dove sto. Se uno muore
non importa a nessuno purché sia
sconosciuto e lontano.
e quello stesso senso di alienazione ben lo sa ben rendere Charles Bukowski, quando nel soffocante calore di Los Angeles compone Foglie di Palma:
la notte di Capodanno mi atterrisce
semprela vita non sa nulla degli anni.
adesso i clacson si sono ammutoliti
Foglie di palma, Charles Bukowksi
e i fuochi d’artificio e i tuoni…
tutto è finito in cinque minuti…
odo soltanto la pioggia
sulle foglie di palma,
e penso:
non capirò mai gli uomini,
ma è andata
anche questa.
La vacua speranza di un tempo migliore viene percepita diversamente da Pablo Neruda che regala una meravigliosa immagine festiva di un nuovo giorno, bagnato di rugiada e atteso con l’anelito del primo sorso d’acqua.
Giorno dell’anno nuovo,
giorno elettrico, fresco,
tutte le foglie escono verdi
dal tronco del tuo tempo.Incoronaci
con acqua,
con gelsomini aperti,
con tutti gli aromi spiegati,
sì,
benché tu sia solo un giorno,
un povero giorno umano,
la tua aureola palpita
su tanti cuori stanchi
e sei,
oh giorno nuovo,
oh nuvola da venire,
pane mai visto,
torre permanente!
Un ultimo augurio
Catturati tra i lampi dei fuochi d’artificio, antico richiamo dei focolari di Vesta e Giano, avvolti da liste nuove di propositi, scaramantiche strategie per accogliere il nuovo ciclo solare, vecchi fogli di caselle spuntate, volgiamo la nostra unica fronte al futuro. Brindisi al tempo antico e nuovo e alla speranza, nostra connotazione di esseri umani.