Parallelismo forzato o realtà storica ciclica? L’analisi comparativa tra due delle figure più emblematiche della storia nasconde aspetti estremamente interessanti, anche se discutibili.
Tra leggenda e storia
La scienza storica e filosofica da sempre trova terreno fertile nel campo della comparativistica. Situazioni, opere ed ideali vengono confrontati, piani paralleli alla ricerca di un filo comune. Capita inoltre, in certi casi, che ad essere oggetto di discussione siano personaggi molto particolari. All’alba del periodo moderno, infatti, la speculazione accademica ha iniziato ad accostare due grandissime figure legate alla storia e al pensiero del mondo occidentale.
Parliamo di Cristo, analizzato nella sua veste di uomo terreno e profeta, e di Socrate, il celebre pensatore greco che diede il via alla grande filosofia occidentale. Immagini umane estremamente complicate da focalizzare, in quanto la loro vita è da sempre legata da un’aura di sacralità innata che impedisce un’analisi del tutto razionale del soggetto.
Una storia travagliata
Un percorso inaugurato già alla fine del XV secolo con Erasmo da Rotterdam. Uno tra i più grandi teologi della storia, infatti, è tra i primi a teorizzare in maniera rigorosa un collegamento tra i due. Entrambi sono a contatto con la vita dell’uomo, allontanandosi da un insegnamento puramente teorico e ricercando un collegamento tra etica cristiana e pagana. Egli insiste poi sul tema centrale dell’opera nella quale sottolinea questo confronto, l’Elogio della follia. Nella summa che conclude quest’ultima si può trovare scritto che molte volte l’uomo folle può parlare in maniera assennata.
Questo paragone continua lungo i secoli ad affascinare intere generazioni di letterati, andando a contaminare l’essenza di grandissimi capolavori, come l’Emilio di Jean Jacques Rousseau. E’ nel campo filosofico, però, che la storia di un’idea comune dà il meglio di sé, in particolare con Hegel e Nietzsche. Il primo propone dapprima un ardito paragone tra i seguaci dei due maestri nella Religione popolare e cristianesimo (1794) e successivamente, nella Vita di Gesù, sottolinea i principi di quella cosiddetta ragione morale che sarebbe presente in entrambi.
Il secondo, invece, possiede un legame ancora più forte con questa storia di confronti, siano essi stati forzati o meno. In una celebre pagina di Umano, troppo umano Nietzsche (che, per ironia della sorte, alcuni anni dopo inizierà a farsi chiamare Il crocifisso) parla dei cosiddetti Justizmorde (assassinii giudiziari). Tra essi il grande filosofo identifica dei punti comuni, soprattutto a proposito della volontarietà delle loro morti. La simbologia della reazione all’ingiustizia umana si configura quindi come un vero e proprio desiderio di morte. Con una seduta psicologia ante temporem egli sottolinea la profonda tragicità con la quale entrambi avrebbero caratterizzato la storia della propria dipartita. La croce e la cicuta in questo quadro costituiscono semplicemente il viatico di una pena autoinflitta. Non martirio ma suicidio dunque, da parte del più nobile tra gli uomini e del loquace vagabondo dell’Ellade, come Nietzsche amava definirli.
Moderno elogio della follia
Al di fuori delle ragioni che spinsero entrambi questi grandi della storia a rinunciare alla loro vita, tuttavia, non si può negare una certa comunanza di idee tra i due. Per meglio articolare questo concetto bisogna fare un salto di quasi due secoli.
Di grande aiuto può essere sicuramente il saggio La morte di Socrate del tedesco Romano Guarini. Egli, a partire dalla discussione riguardante alcune tra le più famose opere di Platone, organizza e meglio definisce le somiglianze tra Cristo e Socrate. Innanzitutto nella loro produzione, autograficamente inesistente a livello di testimonianze scritte. Per fortuna ognuno di loro ha potuto contare su dei bravi “evangelisti”, che siano ufficiali o meno. Comune è poi il contesto sociale delle loro scelte: una pilatesca giuria di politici condanna il filosofo maieutico, ma anche il profeta del signore, entrambi per accuse totalmente inventate, che vanno nella direzione della destabilizzazione sociale. Pilato e Anito sarebbero potuti benissimo essere parenti.
Destabilizzazione che è all’insegna dell’innovatività e dell’umanità: se uno infatti predica l’amore di un uomo verso tutti gli altri uomini, l’altro si occupa per la prima volta nella storia allo studio dell’uomo stesso e delle sue caratteristiche, uscendo dal campo dell’indagine della natura.
Sullo sfondo la questione relativa alle leggi degli uomini, che devono essere rispettate. La storia di entrambi questi personaggi è quella che narra di una totale sottomissione al giudizio delle norme terrene, siano esse provenienti dal sacro timore degli dei professato dalla pòlis o dalla giurisprudenza civile di un governatore romano.
La verità rende liberi
Tutti questi aspetti ora sottolineati non costituiscono che il corollario della più importante somiglianza tra i due, ovvero il messaggio. Socrate e Cristo, infatti, sono entrambi portatori di un messaggio di verità. Questa verità li rende superiori e quindi più liberi rispetto a tutti gli altri uomini, in quanto libera il genere umano dalle catene dell’ignoranza. Questo nonostante l’apparente distanza di prospettive tra il conosci te stesso socratico e in verità, in verità vi dico cristiano.
Alla stessa conclusione arriva anche Anne Baudant nel suo saggio Socrate e Gesù. Due ideali a confonto (2002) e Romano Penna nella sua opera Gesù e Socrate. Cultura greca e impronta giudaica (2014). La conoscenza, di Dio o di sé stessi, porta con il passare nel tempo alla verità e quindi alla saggezza. Nel Vangelo dell’apostolo Giovanni si scrive che la verità vi renderà liberi. Socrate rappresenta la ricerca di verità, Cristo invece ne rappresenta l’essenza più profonda.
Il dubbio vive e fa vivere
Alla luce di quanto detto, dunque, la speculazione su questo confronto non può rappresentare solamente un puro esercizio retorico. Anche il parere di chi come Kierkegaard (1841) si scaglia contro questo accostamento affermando che la somiglianza fra Cristo e Socrate si trova nella loro dissomiglianza, contribuisce in maniera estremamente concreta a rendere vivo questo dibattito.
Forse una soluzione la si può trovare in una risposta non definitiva che continui a nutrire la discussione. Ancora Romano Penna, in una sua relazione intitolata Elementi di grecità in Gesù di Nazaret, accompagna questa dicitura con un punto di domanda assai simbolico che tuttavia non relega questa questione, al versante della retorica piuttosto che a quello della ricerca come affermato invece da un dubbioso Luciano Canfora.