Versione breve di questo articolo: premete play su Mr. Morale & The Big Steppers di Kendrick Lamar e ascoltatelo con Genius a portata di mano. Fatelo. Ora.
Intro alla versione un po’ più articolata: sono passati 1855 giorni da DAMN, album che è valso a Kendrick Lamar il premio Pulitzer del 2017 – il primo di sempre assegnato a un rapper. 1855 giorni che ci hanno separato da Mr. Morale & The Big Steppers: un’attesa che abbiamo definito messianica, e la copertina di questo nuovo lavoro ci dà anche un po’ ragione.
Di questi 1855 giorni, il good kid di Compton è il primo ad avvisarcene, aggiungendo che nel mentre: I’ve been goin’ through somethin’. E di cose, nel mentre, ne sono successe davvero tante: covid e guerra in Ucraina per citarne due recenti e che il rapper non risparmia nei suoi testi. I temi di questo album sono molto personali e introiettati verso l’esterno e l’ascoltatore e sono stati anticipati, come da copione, dal singolo-serie The Heart Pt. 5, il cui video ha suscitato parecchio clamore.
Cerchiamo di raccogliere in qualche punto le informazioni essenziali per avventurarci in questo doppio album dalla caratura monumentale.
Kendrick Lamar, Mr. Morale e i Big Steppers
Partiamo dalle due informazioni principali su questo album tolta la musica: il titolo dell’album e la copertina. Il doppio LP di Lamar si divide tra i protagonisti che ne danno il nome, dove Mr. Morale è traducibile con lo stesso significato in italiano, mentre i Big Steppers sono sia le persone che fanno passi molto rumorosi (e l’album è pervaso di questi suoni) sia, nello slang, “coloro che possiedono un’arma da fuoco”.
Entrambi questi elementi li ritroviamo nella copertina dell’album. Infatti Kendrick posa di spalle con una pistola che esce dai pantaloni mentre tiene in braccio uno dei suoi due figli, con la compagna Whitney Alford sullo sfondo che tiene l’altro. Sul rapper di Compton è posta una corona di spine, un chiaro rimando alla figura di Gesù Cristo. Lamar non ha mai fatto mistero della sua fede (e quindi di quale sia la sua morale), così come si è spesso raccontato come il sacrificio umano di Compton.
Lungi da Kendrick paragonarsi a Gesù (vero Kanye?), piuttosto è da notare come il simbolo scelto sia proprio la corona di spine: qualcosa che ti è messa e che non hai voluto, ma soprattutto qualcosa che ti fa soffrire. La sofferenza scorre sul fondo di questo album a più riprese e in più forme, ci arriviamo a breve.
This is what the world sounds like
Il primo ascolto di Mr. Morale & The Big Steppers è paragonabile a uno shock, nel bene e nel male. Vuoi per l’hype che si è generato in questi cinque anni di attesa, vuoi perché da Kendrick Lamar ti aspetti sempre una rivelazione. Personalmente il primo giro in compagnia di questo album di 73 minuti è stato abbastanza deludente o, per usare un termine che con il rapper di Compton farei fatica a utilizzare, noioso.
Dopo un album pieno di banger come DAMN. (DNA e Humble, per citarne due che fanno saltare dalla sedia), il tono di MM&TBS è sicuramente più pacato e inserisce delle sonorità molto più evocative oltre che delle performance vocali abbastanza inedite per Lamar. C’è tanto pianoforte (fortmente coinvolto il producer/pianista Duval Tymothy), i passi dei big steppers che riecheggiano tra un brano e l’altro e qualche violino per dare un tocco sinfonico e solenne al tutto.
Vocalmente è assente la parte cattiva di Kendrick, che invece lascia spazio al suo lato più vulnerabile e dolorante: il sotto voce di Mother I Sober (con Beth Gibbons dei Portishead), il tono confessionale di Crown, la recitazione in We Cry Together (con una eccezionale Taylour Paige). Il primo ascolto è quasi spiazzante per la totale assenza di potenziali singoli, ma non è sulla pelle che MM&TBS colpisce. Gli ascolti successivi fanno emergere brani come N95 (con il featuring del cugino Baby Keem), Saviour, Count On Me, Die Hard, Purple Hearts e Father Time, per citarne alcuni. Tutti brani pervasi da una latente e confessa sofferenza. Ma da dove arriva tutto questo dolore?
I grieve different
Mr. Morale & The Big Steppers mette in mostra il lato più vulnerabile di Kendrick Lamar e lo fa dal lato più intimo possibile: quello della psicoterapia. L’album si apre con un coro d’augurio: I hope you find some peace of mind in this lifetime, mentre una voce in sottofondo suggerisce tell them, tell them the truth. E la verità è che Kendrick Lamar ha sofferto e soffre. In maniera diversa, ma soffre – ed è ciò che lo unisce a tante altre persone (I am all of us, aveva scritto nel video di The Heart Pt. 5).
Cosa lo fa soffrire? L’idea di essere considerato il salvatore che non crede di essere (Savior), la maschera da real n*gga che need no therapy ma che si porta dietro il peso dei traumi infantili (Father Time), l’ipocrisia della cancel culture (N95, ma anche i featuring con Kodak Black che non lo hanno risparmiato dalle critiche), della società nei confronti della comunità LGBT+ (Auntie Diaries) e i sensi di colpa che lo pervadono (Mirror).
I choose me, I’m sorry
Ancora una volta tormentato e in collusione col mondo che lo circonda, Kendrick Lamar con Mr. Morale & The Big Steppers ha sviscerato ancora una volta i suoi pensieri e alla sua maniera cervellotica e intellettuale. Non sarà il suo lavoro più riuscito (qualche momento morto, a discapito della natura growner ascolto dopo ascolto, c’è) e sarà il tempo a dircelo eventualmente, ma sicuramente è l’ennesimo confronto con un artista che inevitabilmente ci sfida nel farlo anche con noi stessi. Ce ne fossero.