venerdì, 20 Dicembre 2024

Billie Holiday: il blues e la lotta contro il razzismo

Billie Holiday è stata una delle cantanti jazz più influenti di tutti i tempi. Definita anche “la regina del blues”, ha avuto una carriera fiorente per molti anni prima di perdere la sua battaglia contro la dipendenza e contro i suoi demoni interiori.

L’infanzia difficile

Holiday, o anche ‘Lady Day’, nasce Eleaora Fagan il 7 aprile 1915 a Filadelfia, Pennsylvania. Trascorre gran parte della sua infanzia a Baltimora, nel Maryland. Sua madre, Sadie, era solo un’adolescente quando l’ha avuta. Si ritiene che suo padre fosse Clarence Holiday, che alla fine divenne un musicista jazz di successo suonando con artisti molto importanti come Fletcher Henderson. Sfortunatamente per Holiday, suo padre fu un visitatore raro nella sua vita.

La madre Sadie sposò Philip Gough nel 1920 e per alcuni anni Billie ebbe una vita familiare piuttosto stabile. Ma quel matrimonio finì pochi anni dopo e lasciò Holiday e Sadie a lottare di nuovo per conto proprio.

A volte Holiday fu lasciata alle cure di altre persone e iniziò da lì a poco a saltare spesso la scuola. Lei e la madre finirono in tribunale proprio per questo motivo e il giudice decise di mandarla alla Casa del Buon Pastore, una struttura per ragazze afroamericane in difficoltà. A soli 9 anni Holiday era una delle ragazze più giovani della casa famiglia.

Fu restituita alle cure di sua madre nell’agosto dello stesso anno. Secondo la biografia di Donald Clarke, Billie Holiday: Wishing on the Moon, tornò lì nel 1926 dopo essere stata aggredita sessualmente.

Nella sua difficile infanzia, Holiday ha trovato spesso conforto nella musica, cantando insieme ai dischi di Bessie Smith e Louis Armstrong. Seguì sua madre, che si era trasferita a New York alla fine degli anni ’20, e per un certo periodo lavorò in una casa di prostituzione ad Harlem. Intorno al 1930, Holiday iniziò a cantare nei club locali e si ribattezzò “Billie” in onore della star del cinema Billie Dove.

La musica

All’età di 18 anni, Billie fu scoperta dal produttore John Hammond mentre si esibiva in un jazz club di Harlem. Hammond è stato determinante per far sì che Billie ottenesse un lavoro con un emergente bandleader Benny Goodman. Con Goodman, canta per diversi brani, tra cui la sua prima uscita commerciale “Your Mother’s Son-In-Law” e la top 10 hit del 1934 “Riffin’ the Scotch”.

Nota per il suo fraseggio distintivo e la sua voce espressiva, a volte malinconica, Holiday ha continuato a registrare con il pianista jazz Teddy Wilson e altri nel 1935. Ha realizzato diversi singoli, tra cui “What a Little Moonlight Can Do” e “Miss Brown to You”.

Nello stesso anno, Billie è apparsa con Duke Ellington nel film Symphony in Black.

Lady Day

Billie Holiday all’Olympia Theater, Londra, nel novembre 1958

In questo periodo, Holiday ha incontrato e stretto amicizia con il sassofonista Lester Young, che ha fatto parte dell’orchestra di Count Basie per anni. Fu proprio Young che diede a Holiday il soprannome di “Lady Day” nel 1937, lo stesso anno in cui si unì alla band di Basie. Fece successivamente un tour con la Count Basie Orchestra nel 1937. L’anno successivo lavorò con Artie Shaw e la sua orchestra.

Holiday ha aperto nuovi orizzonti con Shaw, diventando una delle prime cantanti afroamericane a lavorare con un’orchestra bianca. I promotori, tuttavia, si sono sempre opposti a lei, per la sua razza e per il suo stile vocale unico, e ha finito così per lasciare l’orchestra a causa della frustrazione.

“Strange Fruit”

Holiday si è esibita anche al Café Society di New York. È proprio lì che sviluppa alcuni dei suoi personaggi scenici caratteristici: indossando gardenie tra i capelli e cantando con la testa inclinata all’indietro. Durante questo periodo debutta con due delle sue canzoni più famose, “God Bless the Child” e “Strange Fruit”. La Columbia, la sua casa discografica dell’epoca, non era interessata a “Strange Fruit”, che era una storia potente sul linciaggio degli afroamericani nel sud. Holiday ha registrato così la canzone con l’etichetta Commodore.

Billie Holiday a New York nel 1949

“Strange Fruit” è considerata una delle sue opere più distintive e la controversia che l’ha circondata (alcune stazioni radio hanno vietato il disco) ha contribuito a renderla un successo.

Nel corso degli anni, Billie canta molte canzoni che parlano di relazioni tempestose, tra cui “T’ain’t Nobody’s Business If I Do” e “My Man”. Queste canzoni riflettevano i suoi amori personali, che erano spesso distruttivi e tossici.

Sposò James Monroe nel 1941. Già con un problema di alcolismo, Billie prese l’abitudine del suo nuovo marito di fumare oppio. Il matrimonio non durò ma i problemi di Holiday con l’abuso di sostanze continuarono.

Nel 1939, dopo aver cantato la sua canzone “Strange Fruit”, ricevette un avvertimento dal Federal Bureau of Narcotics di non cantare mai più la canzone. Holiday rifiutò e continuò a cantarla. Il commissario dell’FBN Harry Anslinger credeva che Holiday fosse il simbolo di tutto ciò di cui l’America doveva aver paura.

Il razzismo e i demoni del passato

Il suo ragazzo all’epoca era il trombettista Joe Guy e con lui iniziò a fare uso di eroina. Dopo la morte di sua madre nell’ottobre 1945, Holiday iniziò a bere più pesantemente e aumentò l’uso di droghe per alleviare il suo dolore.

Nonostante i suoi problemi personali, Holiday è rimasta una delle principali star nel mondo del jazz e anche nella musica popolare. È apparsa con il suo idolo Louis Armstrong nel film del 1947 New Orleans, anche se nel ruolo di una cameriera.

Sfortunatamente, l’uso di droghe da parte sua le causò una grande battuta d’arresto professionale quello stesso anno. Fu arrestata e condannata per possesso di stupefacenti nel 1947. Condannata a un anno e un giorno di carcere, Holiday andò in una struttura di riabilitazione federale ad Alderson, nel West Virginia. Rilasciata, l’anno successivo dovette affrontare nuove sfide.

Non fu in grado, dopo l’uscita dal carcere, di ottenere la licenza necessaria per suonare in cabaret e club, non potendo quindi esibirsi nelle sale da concerto; tuttavia, tenne uno spettacolo tutto esaurito alla Carnegie Hall non molto tempo dopo il suo rilascio.

Con l’aiuto di John Levy, proprietario di un club di New York, Holiday suonò nel Club Ebony. Levy divenne il suo fidanzato e manager entro la fine degli anni ’40, unendosi a coloro che approfittarono di lei negli anni. Anche in questo periodo, fu nuovamente arrestata per narcotici, ma fu assolta dalle accuse.

Morte ed eredità

Holiday tenne la sua ultima esibizione a New York City il 25 maggio 1959. Non molto tempo dopo questo evento, fu ricoverata in ospedale per problemi al cuore e al fegato. Era così dipendente dall’eroina che venne persino arrestata per possesso mentre era ancora in ospedale. Il 17 luglio 1959, Billie Holiday morì per complicazioni legate all’alcol e alla droga.

Più di 3000 persone si sono presentate per salutare Lady Day al suo funerale tenutosi nella chiesa cattolica romana di San Paolo Apostolo il 21 luglio 1959. Considerata una delle migliori cantanti jazz di tutti i tempi, Holiday ha influenzato molti altri artisti che hanno seguito le sue orme.

Nel 2000, è stata inserita nella Hall of Fame e Diana Ross si è occupata degli onori. Nel 2021, Andra Day ha interpretato Holiday nel film biografico The United States vs. Billie Holiday.

Graziana Minardo
Graziana Minardohttps://violedimarzo.com/
Graziana Minardo, siciliana trapiantata a Milano. Studentessa di Chimica e Tecnologie Farmaceutiche all’Università degli Studi. Amante delle scienze, attivista e appassionata di scrittura. Co-Founder di Viole di Marzo, blog e associazione femminile di interesse medico e culturale che unisce sul territorio milanese decine di professioniste e donne di talento. Per Sistema Critico scrivo di femminismo.

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