Scomparsa all’età di 87 anni alla fine del 2021, Joan Didion è stata la voce femminile più rappresentativa del New Journalism. Autrice e acuta osservatrice del panorama politico culturale americano, ci ha lasciato un’eredità artistica lunga più di mezzo secolo.
La vita
Joan Didion è nata il 5 dicembre 1934 a Sacramento da Frank ed Eduene (Jerrett) Didion. Suo padre era un ufficiale delle finanze dell’esercito, sua madre una casalinga. Durante la seconda guerra mondiale la famiglia si trasferì diverse volte per continui cambi di incarico, prima di tornare a Sacramento.
Da adolescente, Ms Didion riscrisse i capitoli dei romanzi di Hemingway per capire come funzionassero. Fu profondamente influenzata dalla gestione del dialogo e del silenzio dello scrittore. Durante il suo primo anno all’Università della California, a Berkeley, dove conseguì una laurea in inglese nel 1956, Ms Didion presentò la prima bozza di un racconto a Mademoiselle e vince un posto come guest fiction editor per la rivista.
Tra gli anni ‘60 e ‘70 divenne la voce femminile più rappresentativa all’interno di un movimento maschile come il New Journalism, che annoverava autori quali Tom Wolfe, Truman Capote e Gay Talese.
Hollywood-Manhattan
L’anno successivo vinse un concorso di saggi sponsorizzato da Vogue. Dopo aver rifiutato il primo premio, un viaggio a Parigi, iniziò a lavorare presso la rivista. “In una didascalia di otto righe tutto doveva funzionare, ogni parola, ogni virgola” disse in seguito.
All’inizio degli anni ’60 la Didion scriveva per Vogue, Mademoiselle e National Review, spesso con titoli come “La gelosia: è una malattia curabile?”. Nello stesso periodo, pubblicò il suo primo romanzo , “Run, River” (1963), sul disfacimento di una famiglia di Sacramento. Con questo romanzo già introduceva emozioni che governarono le opere successive – violenza, terrore, la nauseante sensazione che il mondo vada fuori controllo.
Nel 1964 sposò John Gregory Dunne, uno scrittore del Time con cui era amica da diversi anni. Si trasferirono in California, dove iniziarono a scrivere sceneggiature. Nel frattempo adottano una figlia, Quintana Roo: il nome venne scelto per caso, uno stato messicano che avevano incrociato guardando una mappa.
I coniugi divennero una coppia glamour bicoastal, con un piede a Hollywood e l’altro nei salotti letterari di Manhattan.
L’anno del pensiero magico
Mr Dunne morì di infarto a 71 anni nel 2003. Due anni dopo, Quintana Roo Dunne morì di pancreatite e shock settico a 39 anni. Didion scrisse della morte del marito e della malattia di sua figlia in “The Year of Magical Thinking” (L’anno del pensiero magico) del 2005, che vinse il National Book Award per la sezione saggistica ed è stato adattato per il palcoscenico di Broadway nel 2007. Iniziato il 4 ottobre 2004, venne terminato 88 giorni dopo, alla vigilia di Capodanno. La sua pubblicazione e il tour di promozione del libro, corredato da diverse letture pubbliche e interviste, tennero impegnata l’autrice, aiutandola ad elaborare il lutto.
Didion affronta l’argomento della morte di sua figlia nel suo libro di memorie del 2011, “Blue Nights”, in cui vi sono alcune delle pagine più belle mai dedicate al dolore.
Molto protettiva nei confronti del suo lavoro, Joan Didion non rivelava mai nemmeno agli amici intimi il nuovo argomento del suo libro fino a quando non era pronto per la pubblicazione. Faceva parte della serietà con cui interpretava il suo ruolo di acuta osservatrice e implacabile giudice.
Ms Didion ha costruito una carriera tripartita dedicata a reportage, sceneggiatura e narrativa. La denuncia, ha detto una volta, l’ha costretta a entrare nella vita di altre persone e le ha permesso di raccogliere le informazioni e le impressioni che alimentavano la sua narrativa. “Qualcosa su una situazione mi disturberà, quindi scriverò un pezzo per scoprire cosa mi dà fastidio” disse a The Paris Review nel 2006. La sceneggiatura, al contrario, offriva un diversivo, come lavorare con un cruciverba. Ha avuto insolitamente successo in tutti e tre.
A Star is Born
Nel 1970 lei e suo marito scelsero una storia sui tossicodipendenti nell’Upper West Side di Manhattan, scrissero la sceneggiatura di “Panic in Needle Park”, un film che diede ad Al Pacino il suo primo ruolo da protagonista. La loro seconda sceneggiatura fu un adattamento del secondo romanzo di Didion, “Play It as It Lays” (1970), il racconto ellittico di una giovane attrice che guida compulsivamente le autostrade della California per dimenticare il suo matrimonio fallito, un aborto e la malattia mentale di sua figlia. La versione cinematografica, pubblicata nel 1972, era interpretata da Tuesday Weld e Anthony Perkins. Con la loro terza sceneggiatura, Didion e il marito riscrivono “A Star Is Born” per portarlo nell’era del rock ‘n’ roll. Con Barbra Streisand e Kris Kristofferson come protagonisti, il film fu grande successo al botteghino. La coppia collaborò poi a “True Confessions”, la versione cinematografica del romanzo di Mr. Dunne del 1977, con Robert De Niro e Robert Duvall, e a “Up Close and Personal” (1996), con Robert Redford e Michelle Pfeiffer. Nel suo terzo romanzo, “A Book of Common Prayer” (1977), la Didion collocò la sua eroina, la sognante e danneggiata Charlotte Douglas, in un paese immaginario dell’America centrale lacerato dalla politica rivoluzionaria. Questa tela più ampia prefigurava una serie di lunghi e approfonditi articoli su argomenti politici, spesso scritti per The New York Review of Books. Un viaggio in El Salvador, allora in preda a una guerra civile, fornì il materiale per “Salvador” (1983). Le complessità della politica cubano-americana furono oggetto di “Miami” (1987), un’altra estesa incursione nel giornalismo personale, che alcuni critici iniziarono a trovare stancante. Ovunque Didion andasse, sembrava che trovasse lo stesso insieme di circostanze: caos incombente, un’atmosfera satura di terrore e assurdità descritte da partecipanti inconsapevoli in un linguaggio cliché.
The last love song
Nel 2015, la St. Martin’s Press pubblicò “The Last Love Song: A Biography of Joan Didion” di Tracy Daugherty. Due anni dopo “Joan Didion: The Center Will Not Hold”, un film documentario prodotto e diretto da Griffin Dunne, figlio di suo cognato. Negli ultimi anni, Didion ha abbandonato i giornali tradizionali e ha iniziato a scrivere una forma di critica culturale incentrata sul modo in cui la stampa e la televisione interpretavano determinati eventi, comprese le elezioni presidenziali e il pestaggio e lo stupro di una donna che faceva jogging a Central Park nel 1989. Molti di questi saggi sono stati inclusi nelle raccolte “After Henry” (1992) e “Political Fictions” (2001), incentrate principalmente sulle amministrazioni di George Bush e Bill Clinton. Nel 2006, le edizioni Everyman pubblicarono “Ci raccontiamo storie per vivere: Collected Nonfiction”. In “South and West: From a Notebook”, pubblicato nel 2017, Didion è tornata agli anni ’70 e ha recuperato le sue impressioni sul profondo sud, dove lei e suo marito avevano viaggiato per incarico della rivista Life. La voce è rimasta la stessa: dura, consapevole, a tratti cinica. Nonostante il suo aspetto ingannevolmente fragile, mantenne la posizione di una donna modellata dalle circostanze estreme del suo stato natale: la California.
Della sua personale paura, la scrittrice (saggista, giornalista, sceneggiatrice) Joan Didion, ha fatto tutto il fattibile. Preveggente e inaspettata, era la Cassandra del nostro secolo.
“Life changes in the instant. The ordinary instant. You sit down to dinner and life as you know it ends.”
― The Year of Magical Thinking