venerdì, 20 Dicembre 2024

Tra shape shifting e digital security: vita delle giornaliste di guerra

Cosa significa intraprendere la carriera giornalistica per una donna oggi? Gli stereotipi, impedimenti e rischi che hanno sempre accompagnato le giornaliste, sussistono e fanno fatica ad essere cancellati. In particolar modo, in alcune branche del giornalismo, ancora a prevalenza maschile, gli ostacoli per una giornalista possono essere maggiori, rispetto a quelli che si presentano ai loro colleghi. Essere giornaliste di guerra, ad esempio, potrebbe risultare ancora oggi difficoltoso. Le giornaliste devono quindi adottare strategie come la shape shifting o tutelarsi attraverso piani di digital security.

Quando, a inizio Ottocento, le donne cominciarono ad affacciarsi al mondo del giornalismo, affrontarono non pochi problemi. Gli editori non avevano mai considerato le donne come possibili dipendenti. Solo quando la pubblicità divenne fondamentale per il finanziamento delle testate si cominciarono ad assumere donne che potessero promuovere oggetti targettizzati su un pubblico femminile. Il loro compito era quello di trattare tematiche concernenti il mondo domestico, che i loro colleghi non si sarebbero mai abbassati ad affrontare.

Da allora, le giornaliste nelle redazioni hanno cominciato a crescere sempre più di numero. Non c’è branca del giornalismo che non siano arrivate a coprire. Tuttavia, l’attenzione inappropriata per l’estetica, il conflitto tra lavoro e genitorialità e la difficoltà a farsi accettare in alcuni contesti sono solo alcuni degli svantaggi con cui deve misurarsi.

I rischi per una giornalista di guerra

Tra i rischi più preoccupanti per una donna reporter ci sono gli abusi sessuali. Per questo motivo i security training targhettizzati in base al sesso dell’inviato sono sempre più comuni, dopo che casi specifici hanno dimostrato i pericoli a cui vanno incontro. Un’indagine condotta dall’International News Safety Institute (INSI) ha avuto degli esiti sconcertanti: l’82% delle giornaliste di guerra ha subito intimidazioni fisiche, il 55% è stata vittima di molestie sessuali, il 7% parla di veri e propri stupri.

Il caso di Lara Logan, vittima di uno stupro di gruppo nel 2011 in Egitto, ne è un esempio. Logan è una giornalista sudafricana, corrispondente di guerra per la CBS News tra il 2002 e il 2018. Dopo l’11 settembre era stata in diverse situazioni difficili e molto pericolose, dall’Afghanistan all’Iraq. Il suo lavoro è stato premiato con un Emmy, in occasione di un servizio su Ramadi, città irachena, e numerosi altri premi giornalistici. Si trovava in Egitto per testimoniare lo scoppio delle primavere arabe e i disordini che erano esplosi nel paese.

Un altro caso è quello della fotoreporter Lynsey Addario, violentata mentre era tenuta in ostaggio in Libia. Aveva testimoniato le conseguenze della guerra in Afghanistan, Iraq, Sudan e Yemen, ottenendo un Premio Pulitzer.

Lara Logan
Lynsey Addario

I dati

Altri dati ci vengono offerti da un report UNESCO del 2015, secondo il quale gli uomini continuerebbero a svolgere la maggior parte del lavoro nell’ambito del giornalismo di guerra. Continuano a ricoprire incarichi più prestigiosi e soprattutto ad essere pagati di più. Adducendo la scusa della pericolosità dei luoghi, i caporedattori decidono spesso di non mandare le loro corrispondenti, piuttosto che impegnarsi a programmare per loro una missione sicura.

Un’altra ricerca dell’INSI riporta che le giornaliste spesso non denunciano di essere state violentate o di aver avuto altri problemi di questo genere, per paura di non poter essere più assegnate all’estero in futuro. Jenny Nordberger, una giornalista svedese, stuprata in Pakistan, non denunciò nulla una volta tornata in patria:

I didn’t want them to think of me as a girl. Especially when I am trying to be equal to, and  better than, the boys.

Jenny Nordberg

Questo fenomeno potrebbe essere mitigato da una presenza maggiore di donne nelle redazioni, che potrebbero creare ambienti più confortevoli, in cui sentirsi libere di raccontare la propria esperienza senza ulteriori timori. La percezione maschile della vulnerabilità femminile influenza il modo in cui essi vedono le loro colleghe.

Tra lavoro e genitorialità

Le considerazioni delle famiglie influiscono maggiormente sulle scelte delle giornaliste: Yvonne Ridley del Sunday Expresspassò il nono compleanno della figlia in un carcere afgano: per questo fu accusata di essere una madre che “agiva immoralmente”, abbandonando i suoi bambini.

Yvonne Ridley

Dai primi anni Duemila, alla massiccia presenza di donne reporter nelle zone di guerra è legata la paura rispetto al pericolo a cui si vanno a sottoporre. Nel dibattito pubblico divenne quasi un’ossessione il tema del rischio per le donne in Afghanistan e nelle regioni limitrofe. Mentre la genitorialità passava in secondo piano quando si inviava un giornalista uomo al fronte, per le donne invece era considerata un’onta imperdonabile il lasciare i figli per partire. Un paradosso vista l’enfasi con cui in Occidente ci si scagliava contro la privazione della libertà per la donna nella cultura mussulmana

Strategie vincenti: lo shape shifting

Se in patria sono giudicate poco femminili o poco materne, sul campo è tutta un’altra storia: qui le giornaliste attraverso la cosiddetta strategia del “shape shifting” devono cercare di agire il più possibile come i propri colleghi per essere accettate. Bere come un uomo, scherzare come un uomo, possono sembrare dettagli banali, ma fanno la differenza.

Esistono tuttavia anche alcuni vantaggi dell’essere donne e reporter di guerra. In Medio Oriente, ad esempio, esse possono entrare nelle case private e parlare con le donne del luogo, cosa che diviene fondamentale se si vuole raccontare a 360 gradi una guerra. Se si pensa all’ISIS, le donne hanno rappresentato un ruolo chiave per la sua organizzazione, nella gestione dei contenuti online e nel reclutamento degli adepti.

Le giornaliste di guerra: un terzo genere

Inoltre, per una giornalista è molto più facile passare inosservate in Medio Oriente, indossando il velo integrale si può letteralmente scomparire tra la folla. Lyse Doucet, della BBC, descrive come le reporter in quelle zone ormai siano viste quasi come un “terzo genere”. Esse possono parlare con gli uomini, in quanto donne non mussulmane, ma possono anche intervistare ed entrare in luoghi riservati alle donne del luogo indisturbate.

Per quanto invece concerne le fonti, anche in questo ambito le donne possono riscontrare delle difficoltà. Le inviate di guerra che scrissero dei conflitti in America Centrale degli anni Ottanta del Novecento riportano che le fonti non le prendevano in considerazione e preferivano esporsi per passare notizie agli uomini.

Altro caso è quello delle fonti che trattano le donne alla stregua di oggetti sessuali, dando per scontato che la giornalista sia tenuta a offrire rapporti in cambio di informazioni. Alcune giornaliste hanno notato come indossare una finta fede al dito o portare con sé due passaporti, di cui uno di un presunto marito, possa aiutare.

Il wow factor e la femminilizzazione dei media

L’enfasi sull’apparenza delle corrispondenti sembrava essere una conseguenza della commercializzazione delle notizie che stava crescendo esponenzialmente. Probabilmente l’alto profilo richiesto alle giornaliste televisive era legato al wow factor. Si pensava che il pubblico volesse vedere e ascoltare una donna sullo schermo. Ritenendole più rassicuranti e più accattivanti, le giornaliste cominciarono a comparire sempre più frequentemente come corrispondenti o come presentatrici di telegiornali. All’interno di redazioni come Fox News, si era persino arrivati ad adottare la strategia dei desk trasparenti. L’intento era quello di mostrare le gambe della giornalista mentre questa presentava le notizie, ritenendo che avrebbe fatto salire gli ascolti.

L’aumento delle donne nelle zone di guerra si inseriva, inoltre, in quella che gli studiosi chiamano la femminilizzazione dei nuovi media. Si insisteva sul cambiamento registrato nei toni giornalistici, al di là del genere dell’autore. Se prima si raccontavano gli eventi bellici adesso i giornalisti andavano oltre. La brutalità dei conflitti e la necessità di giustificare gli interventi degli occidentali spingevano non solo i giornalisti a palesare le loro opinioni, ma anche a portare avanti delle vere e proprie denunce delle efferatezze che venivano commesse. In più l’attenzione alle vittime, che prima era considerata prettamente femminile, adesso diventava la norma.

La digital security

Una parte considerevole dei commenti negativi rivolti alle giornaliste, che spesso sfociano in vere e proprie minacce, adesso si verifica sul web. Per molte giornaliste la minaccia di stupro o di altro genere di violenza è diventata parte integrante della vita lavorativa di tutti i giorni.

The online attacks tend to degrade the journalist as a woman rather that address the content of the article.

La digital security ad oggi è considerata una delle problematiche più urgenti di cui occuparsi per le giornaliste. La solitudine che caratterizza le vittime di minacce online può essere una vera e propria barriera alla libertà di espressione. Tutto questo non vuole negare la pericolosità di questo genere di incarico anche per il sesso maschile. Numerosi sono i casi di rapimenti, abusi sessuali e torture perpetrati sui giornalisti. Fare il reporter di guerra è stato e continua ad essere un mestiere rischioso per chiunque lo pratichi. Purtroppo essere donne ne rende ancora più difficoltoso lo svolgimento.

Sara Valentina Natale
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Sara Valentina Natale. Laureata in Studi Internazionali, ho scelto di proseguire i miei studi con un master in Corporate Communication, Lobbying & Public Affairs a Roma . Adoro scrivere, fare polemica e bere Gin. Aspirante femminista, europeista incallita, sportiva occasionale.

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