sabato, 23 Novembre 2024

Chitarra, deserto e libertà: il blues riparta dal Sahara!

Durante la sua lunga assenza dalle scene mainstream, negli anni ’90 il blues ha partecipato alle ribellioni dei tuareg, popolo nomade del Sahara che si batte per ottenere maggiore riconoscimento e autonomia dai governi centrali di Mali e Niger. Si è diffuso dalle coste atlantiche della Mauritania alle distese aride del Niger, accompagnando le travagliate vicende politiche di queste regioni tra conflitti etnici, crisi umanitarie e minacce terroristiche. Dagli anni 2000 le sue espressioni musicali hanno iniziato a viaggiare nel deserto attraverso lo scambio di audiocassette consumate e registrazioni al cellulare via Bluetooth, oppure tramite passaparola.

Mentre in Occidente è diventato un genere quasi di nicchia ascoltato da pochi appassionati, altrove il blues è vivo e vegeto. Questa espressione musicale, originatasi dai canti degli schiavi afroamericani impiegati nelle piantagioni del sud degli USA, è l’antenata di buona parte della musica contemporanea. E oggi il blues ha trovato terreno fertile in Africa occidentale, vero luogo di origine del suo substrato musicale, come testimoniano le melodie malinconiche e i tipici ritornelli call-and-response.

A ridosso della fascia del Sahel e delle antiche rotte transahariane ha preso forma una scena blues rock totalmente inedita. Un nuovo genere che incorpora sapientemente l’uso della chitarra elettrica alla musica tradizionale africana, trasportando l’ascoltatore in un ambiente arido, a momenti estasiante, talvolta meditativo. È conosciuto in diversi modi: desert blues, Saharan rock, Touareg blues, oppure con il nome tichoumaren, che nella lingua dei tuareg, il tamasheq, significa “il disoccupato”.

Tinariwen Live From Studio A Oct. 24, 2012 @ 2PM | WCBE 90.5 FM
Le chitarre dei Tinariwen, primo gruppo tuareg ad affermarsi a livello internazionale, su una “nave del deserto” (Fonte: pinterest).

Tinariwen: attraverso il Sahara tra guerra e musica blues

Il Sahel è la zona di transizione che costeggia il deserto del Sahara nel suo versante meridionale, separandolo dalle savane dell’Africa equatoriale. Con la fine del colonialismo, è stato spesso il teatro dello scontro tra i popoli nomadi del deserto e i popoli stanziali, dediti all’agricoltura. È il caso del Mali, dove in più ondate sono infiammate le rivolte delle tribù tuareg del nord contro il governo di Bamako. Il “popolo blu”, così viene soprannominato, è diviso tra Algeria, Mali, Niger, Burkina Faso e Libia e il desiderio di creare uno stato-nazione indipendente non si è mai sopito.

Il divampare delle violenze in Mali ha comportato la crisi di numerosi profughi tuareg. Tra questi c’era Ibrahim Ag Alhabib, il frontman dei Tinariwen (“deserti” in lingua tamasheq), prima band blues-rock originatasi nel Sahara. All’età di quattro anni Ag Alhabib ha assistito all’esecuzione di suo padre durante la prima insurrezione tuareg del 1963 e ha vissuto la sua gioventù nei campi profughi algerini. Da ragazzo è rimasto affascinato dalla chitarra dopo aver visto un film western e ha costruito il suo primo strumento rudimentale utilizzando una bottiglia, pezzi di legno e fili di nylon. Nel 1979, Ag Alhabib ha potuto acquistare la sua prima chitarra acustica a Tamanrasset, in Algeria, iniziando finalmente a suonare. In seguito, il nucleo originario del gruppo si è ampliato comprendendo Alhassane Ag Touhami e i fratelli chitarristi Inteyeden e Liya Ag Ablil.

Il brano Sastanàqqàm tratto dal settimo album dei Tinariwen, Elwan (2017), esemplifica lo stile unico introdotto dalla band, tra tradizione e ottimi pezzi di chitarra elettrica.

La voce dei tuareg esce dall’Africa

All’inizio degli anni ’80 il gruppo si trasferisce in Libia per ricongiungersi con altri giovani tuareg richiamati dal regime di Mu’ammar Gheddafi, intenzionato a creare un esercito panafricano. All’epoca il regime del colonnello esercitava una forte influenza su molti africani e i musicisti hanno risposto a tale messaggio. In Libia, i giovani tuareg ricevono un addestramento militare, ma presto si rendono conto di essere stati manipolati dalla propaganda di Gheddafi. In un’intervista per il Los Angeles Times hanno affermato che “a quel tempo, [i tuareg] non sapevano che Gheddafi fosse un pazzo”, siccome nel deserto non ricevevano abbastanza informazioni.

Nei campi di addestramento libici i membri del gruppo entrano in contatto con la musica di Jimi Hendrix, Rolling Stones e Led Zeppelin. Tra le tende dei combattenti tuareg nascono così i Tinariwen, imbracciando i fucili la mattina e le chitarre la sera.

Durante la permanenza in Libia, i Tinariwen registrano le prime audiocassette che iniziano a circolare in tutto il Sahara attraverso le rotte carovaniere. Dopo la seconda rivolta armata dei tuareg del 1990 a cui partecipano anche alcuni membri del gruppo, le registrazioni arrivano infine tra le mani di alcuni produttori occidentali che in seguito li consacrano alla scena musicale internazionale.

Cover art for Amassakoul by Tinariwen
Amassakoul, secondo album dei Tinariwen e primo successo della band fuori dall’Africa.

Il successo della band

Nel 2002, i Tinariwen registrano il loro primo album, The Radio Tisdas Sessions, negli studi della radio tuareg di Kidal, in Mali. Il disco è il primo lavoro del gruppo ad attraversare il Sahara e a diffondersi in tutto il mondo. Ma a partire dal loro secondo disco del 2004, Amassakoul, i Tinariwen iniziano a esibirsi in Europa e Stati Uniti. L’esplosione della loro popolarità arriverà con l’invito del grande chitarrista Carlos Santana al Montreux Jazz Festival, evento musicale di fama mondiale tenuto in Svizzera. Direttamente dal Sahara, il gruppo oggi è conosciuto in vari ambienti blues e rock, solcando palchi come quelli dei festival All Tomorrow’s Parties e Coachella.

Il sound dei Tinariwen combina le atmosfere mistiche del deserto, ritmiche e percussioni della musica tuareg e fraseggi di chitarra ipnotici e avvolgenti. I testi delle canzoni si concentrano sui problemi della vita nomadica, la sofferenza causata dalla guerra e dallo sfruttamento economico del deserto, ma non mancano i riferimenti alla poetica islamica e ai canti tradizionali.

Lungo gli anni, la lineup dei Tinariwen è variata molto per via dello stile di vita nomadico dei suoi membri, diventando più un collettivo di musicisti, cantanti e compositori, che raramente sono tutti presenti nelle tournée. Oggi il nucleo originario del gruppo non risiede più stabilmente nel Sahara. La situazione attuale in Mali è nuovamente instabile, dovuta al secessionismo dei gruppi ribelli e all’entrata in scena dei jihadisti di Ansar Dine. Quest’ultimo si è espresso contro la diffusione della musica tra le comunità tuareg, riferendosi ai brani dei Tinariwen come “musica di Satana”.

Nonostante la loro vita tormentata, i Tinariwen restano uno dei gruppi africani più influenti, ispirando una nuova generazione di musicisti in tutta l’Africa. La rivista americana Slate ha descritto i Tinariwen come “i ribelli del rock la cui ribellione, per una volta, non è solo metaforica”.

Nànnuflày che in lingua tamasheq significa “elefante”, inteso come metafora dei gruppi armati e delle multinazionali che sfruttano le terre dei tuareg. La canzone trasmette un senso di pace che si può provare solo tra le dune, immersi nel silenzio del deserto.

Bombino: il desert blues dal Niger

Anche nel vicino Niger le tensioni tra il governo di Niamey e i ribelli nomadi hanno segnato gli ultimi decenni della storia del paese. In tale contesto si è affermato un altro grande artista tuareg oggi acclamato a livello mondiale: l’energico ed eccentrico Omar Moctar, in arte Bombino, con la sua inseparabile Fender Stratocaster.

Nelle composizioni di Bombino, gli assoli blues e rock si intrecciano alle percussioni ispirate alla musica tradizionale eseguite alla batteria, creando suoni e ritmi irresistibili. Bombino negli anni ha collaborato con diversi artisti, tra cui i Rolling Stones nella registrazione di una cover del brano Hey Negrita condotta dal sassofonista Tim Ries, mentre in Italia ha suonato con Jovanotti in Si Alza il Vento.

Analogamente ai Tinariwen, la storia di Bombino è marchiata dai soprusi susseguenti alla seconda rivolta tuareg degli anni ’90 che aveva coinvolto anche il Niger. Cresciuto tra Algeria e Libia da rifugiato, Bombino impara a suonare la chitarra da autodidatta nel silenzio del Sahara, ascoltando il blues rock di Jimi Hendrix e i Dire Straits. Facendo il pastore di pecore, le sue giornate passate in solitudine gli permettono di costruire il suo stile compositivo personale.

Azamane Tiliade dal quarto album in studio di Bombino Nomad (2013), tra rock psichedelico e blues, fondamentale per la storia del genere tichoumaren.

Nel 1997, Bombino e la sua famiglia torna ad Agadez, sua città natale. Un nuovo governo democratico aveva sostituito il regime militare nigerino e finalmente i partiti tuareg possono contare con una loro rappresentanza. In questo periodo il giovane musicista si dedica interamente alla musica, entrando a far parte del gruppo di un conosciuto chitarrista, Haja Bebe, che gli conferisce il nomignolo di “Bombino” (dall’italiano bambino), dato che all’epoca aveva meno di vent’anni.

Il chitarrista inizia ad esibirsi alle manifestazioni politiche e nei matrimoni con la sua nuova band. Infine, grazie all’aiuto di un produttore della casa discografica americana Sublime Frequencies che è riuscito a rintracciarlo, registra il suo primo album che in poco tempo diventa una hit nelle radio di Agadez.

L’esilio e la chitarra come forma di ribellione

Dopo dieci anni di permanenza nella sua città, il musicista è costretto a fuggire nuovamente nel 2007. La terza ondata di rivolte tuareg travolge il Niger provocando la risposta repressiva del governo. Gli scontri con le forze armate nigerine coinvolgono anche Bombino che decide di partecipare alla ribellione. Tuttavia, due membri della band vengono uccisi dai soldati e l’accaduto porta il chitarrista ad abbandonare la lotta per poi rifugiarsi in Burkina Faso.

Il governo nigerino aveva proibito di suonare la chitarra in tutto il paese nel tentativo di schiacciare ulteriormente l’identità tuareg. In quel periodo si era diffusa tra le comunità nomadi a tal punto da diventare uno strumento essenziale nella musica popolare, perciò le autorità iniziano a vedere l’atto di suonare la chitarra come un’attività sovversiva. Ma il sospetto verso la musica non fa altro che rinvigorire l’orgoglio tuareg e radicare il suo ruolo nell’identità del popolo nomade.

Bombino affermerà in un’intervista: “non vedo la mia chitarra come un fucile, ma piuttosto come un martello con cui aiutare a costruire la casa del popolo tuareg“. Il musicista vuole trasmettere i valori della sua cultura, in pericolo a causa della marginalizzazione da parte dei governi centrali. I punti di riferimento dello stile di vita nomadico vengono messi in crisi dai confini nazionali, posti arbitrariamente in uno spazio che un tempo non aveva limiti.

Mahegagh, bonus track dall’album Agadez (2011). Il testo riflette sul senso di solitudine, ricorrente nella musica tuareg: Cosa posso fare contro questa solitudine infinita? / È nel profondo del mio cuore / vive in me costantemente.

Il ritorno trionfale ad Agadez

Bombino non abbandona mai la sua Stratocaster, nemmeno nel periodo difficile passato in esilio. Nel frattempo viene raggiunto a Ouagadougou dal regista americano Ron Wyman, grande fan della musica di Bombino. Wyman decide di girare un documentario su di lui (Agadez, the Music and the Rebellion) e lo porta negli USA per incidere un nuovo disco. Agadez, la pittoresca città del Niger storicamente nodo importante dei commerci attraverso il deserto, sarà il soggetto del suo terzo disco uscito nel 2011. In Agadez, album dedicato interamente alla sua città, la nostalgia predomina attraverso un’atmosfera pacifica e solenne.

Nel gennaio 2010, Bombino può fare finalmente ritorno nella sua città in seguito allo spegnersi della rivolta e il rientro dei profughi nelle proprie case. Con il benestare delle autorità religiose locali, Bombino organizza un concerto ai piedi della grande moschea di Agadez (trasmesso nel documentario di Wyman), attirando la curiosità degli abitanti che si avvicinano al richiamo delle note ronzanti della sua chitarra elettrica.

L’atmosfera è festante, il pubblico danza al ritmo frenetico della batteria e la spontaneità dell’evento crea una sensazione di fratellanza e rinascita. Il concerto è sicuramente uno dei momenti più felici della storia della musica africana.

Un estratto del documentario Agadez, the Music and the Rebellion, dove Bombino tiene un concerto ad Agadez, al suo ritorno dall’esilio.

Mdou Moctar: la rockstar del deserto

Il commercio transahariano ha fatto aumentare gli scambi musicali tra i nomadi del deserto, che condividevano via Bluetooth le nuove registrazioni amatoriali dei nuovi chitarristi. Con il crescere della popolarità dello strumento nella regione ecco affermarsi un nuovo musicista tuareg. Si tratta di Mdou Moctar, l’artista tuareg del momento, talvolta indicato come il Jimi Hendrix del Sahara. Anche lui originario del Niger, assieme a Bombino è diventato il portavoce della generazione più recente di artisti sahariani che hanno conquistato i cuori e le orecchie di milioni di appassionati di musica in tutto il globo.

Afrique Victime è il singolo e la title track del nuovo album di Mdou Moctar.

Lo stile di Mdou più orientato al rock ha trovato il successo con il suo lavoro più ambizioso, Ilana: The Creator del 2019. Un vero gioiello chitarristico che si fa strada tra assoli veloci e virtuosi eseguiti rigorosamente senza plettro. L’ispirazione tratta dalla psichedelia è notevole. Le linee vocali ripetute, il distorsore e gli effetti applicati alla chitarra che rendono il suono talvolta cristallino, talvolta grezzo, sono costruite su pochi semplici accordi cosmici.

Tarhatazed, dall’album Ilana: The Creator (2019) dalle influenze psychedelic rock.

L’etichetta discografica americana Sahel Sounds ha inserito le prime canzoni di Mdou nella compilation Music From Saharan Cellphones, risultato dalla caccia di artisti inediti dell’Africa nord-occidentale, cercando di intercettare le registrazioni circolanti nel deserto. L’etichetta ha immediatamente preso sotto contratto Mdou Moctar, proiettandolo sulla scena internazionale in qualità di nuova icona della musica africana e portandolo a tenere concerti con artisti internazionali come Tame Impala.

Il successo del tuareg blues

Oltre alle sonorità caratteristiche, la peculiarità del blues sahariano sono certamente le sue origini. Si tratta di un genere nato in una situazione turbolenta e segnata da guerra e povertà, suonato attraverso amplificatori a batterie, senza plettri e altre sofisticazioni. Sono luoghi in cui gli strumenti spesso sono introvabili, così come la corrente elettrica. Mdou Moctar ha dovuto attendere diversi anni per ottenere una chitarra con il manico a destra, essendo lui mancino. I primi Tinariwen hanno dovuto suonare in acustico per molto tempo. È sorprendente come da tali contesti precari alcuni musicisti che avevano iniziato a suonare attorno a un falò dopo aver deposto le armi siano arrivati a solcare i palchi internazionali e a dare nuova linfa al panorama chitarristico.

Oltre che a livello mondiale, la cultura della chitarra tuareg si è diffusa esponenzialmente nel Sahara stesso, creando nel deserto una delle scene musicali più vivaci del continente africano. Dal 2016 sono attive Les Filles de Illighadad, il primo collettivo musicale fondato da una donna tuareg, la chitarrista nigerina Fatou Seidi Ghali. In Belgio ha iniziato la sua carriera Kel Assouf (“nostalgia” in tamasheq), musicista tuareg fuggito dalle violenze in Niger, che incorpora elementi di musica elettronica nei suoi brani. Infine, i Tinariwen hanno influenzato la nascita di nuovi gruppi come i Tamikrest, i Group Inerane e gli algerini Imarhan.

ANNULÉ | Les Filles de Illighadad - La Soufflerie
Les Filles de Illighadad (Fonte: lasoufflerie.org)

Il desert blues, meglio detto tichoumaren, ha trovato il suo posto nel panorama musicale globale. È riuscito a far breccia tra gli ascoltatori occidentali, abituati a relegare la musica extraeuropea nell’anonima etichetta “world music” (che vuol dire tutto e niente). I bluesmen del Sahara hanno iniziato a suonare per raccontare storie di sofferenza e ribellione contro un mondo che rischia di cancellare la loro cultura, arrivando a farsi strada nell’industria musicale occidentale e a trasmettere al mondo intero la solitudine della vita nel deserto e il valore della libertà.

Djanegh Etoumast dei Tamikrest dall’album Chatma (2013), con il suo giro di basso irrestibilmente catchy. Attivi dal 2006, hanno portato la loro musica nella scena rock internazionale dedicando i loro brani alla resistenza del popolo tuareg.

Massimiliano Marra
Massimiliano Marrahttps://www.sistemacritico.it/
Di radici italo-cilene ma luganese di nascita, attualmente studio economia e politiche internazionali all’Università della Svizzera Italiana e mi interesso di storia e relazioni internazionali con un occhio di riguardo ai contesti extraeuropei. Nel tempo libero suono il basso elettrico e vado in burn out di musica.

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