Le colpe dei Padri
Corre l’anno 1975 quando Pier Paolo Pasolini etichetta i giovani come “infelici”. In queste poche ma dense pagine che aprono la raccolta di scritti Lettere luterane, Pasolini prende a prestito nelle sue formulazioni l’esempio del teatro greco: i giovani nonostante il loro comportamento sono destinati (o meglio: predestinati) a pagare le colpe dei padri. Questi padri sono infatti accusati di aver accettato e inculcato nelle generazioni successive i valori negativi portati dal fascismo e dalla sua deriva cattolica che si sono sedimentati nel modus vivendi delle culture giovanili formatesi negli anni Settanta: e, cosa peggiore di tutte, di aver creduto che esistessero solo e nient’altro che le idee della classe dominante per eccellenza: la borghesia.
Il consumismo sfrenato
Sarebbe l’inizio della “mutazione antropologica” della società italiana che Pasolini condanna osservando criticamente la realtà a lui circostante insieme ad altri apparati educativi incriminati allo stesso modo di permettere la transizione verso quel consumismo sfrenato che si sarebbe man mano sovrapposto alle classi subalterne del sottoproletariato romano: la televisione e la scuola, nello specifico, avrebbero dovuto essere riformate in maniera “democratica” con l’innesto di tutta una serie di accorgimenti pedagogici.
L’importanza del mezzo
In queste posizioni riconducibili a quelle dei francofortesi Adorno, Marcuse, Horkheimer, Habermas, che per primi discutono in Germania con una nuova teoria critica la funzione dei nascenti mezzi di comunicazione di massa nella società postcapitalistica del secondo dopoguerra, Pasolini riflette – come fa anche Walter Benjamin – sul mezzo. È l’uso del mezzo a rendere i giovani infelici, nel dislivello che crea tra le classi sociali meno abbienti (ancora ritorna il sottoproletariato romano come modello di una visione pre-cristiana, stoica e fatalmente ingenua) e ciò che stava emergendo con l’appellativo di “borghese”: Marx lo aveva chiamato “genocidio culturale”.
Il libero battitore
Pasolini verrà accusato di “passatismo” per queste sue visioni antimoderne e quasi apocalittiche. Ma, si sa, come libero battitore l’intellettuale bolognese svilupperà tutta una sua personale concezione del marxismo in un’ottica velatamente spirituale: sì la “depoliticizzazione delle masse” e le tendenze contestatarie verso la “società dei consumi” con gli esperimenti del socialismo europeo in Ungheria e in Cecoslovacchia che appaiono in altri pensatori asistematici come André Lefevbre, André Gorz e gli stessi francofortesi, ma il tutto condito da una visione cristologica che porta l’uomo indietro nel tempo – o forse che non vuole farlo avanzare – e lo immerge in un candore primigenio.
I mali della Borghesia
I giovani sono infelici nell’epoca del boom economico perché si adeguano al canone imposto dalla società borghese con i loro stilemi di identificazione culturale vuoti, omologati, il loro Dasein, per utilizzare il linguaggio filosofico, stereotipato e ossequioso di fronte ad una realtà che i padri non sono riusciti a combattere. Poiché l’errore più grande è stato quello di pensare che la storia fosse solo borghese, e che la povertà sarebbe stata il più grande male dell’umanità.
Una triste realtà odierna
Ma i giovani anche oggi sono infelici: attaccati ai cellulari in ogni singolo minuto della loro esistenza non sanno (e forse non hanno mai saputo) cosa sia un pensiero che vada oltre quelle idées reçues di cui vengono imbellettate le news da tutto il mondo: manca loro capacità di penetrare con lo sguardo più a fondo di come facevano i padri – le cui colpe oramai si sono estinte – e che sono oramai la base essenziale per comprendere e capire e per la formazione di una solida e robusta personalità.
Riccardo Bravi
Puoi trovare la storia di Pier Paolo Pasolini in questo articolo
https://www.sistemacritico.it/pier-paolo-pasolini/
Qui un’analisi dei giovani d’oggi, i “millenials”
https://www.sistemacritico.it/giovani-narcisidigitali2826-2/