A centodue anni di distanza, la Prima Guerra Mondiale sembra ormai qualcosa di estremamente lontano e remoto per noi. Superato il confine psicologico del “secolo”, molti considerano la prima guerra mondiale come una pagina di storia ormai chiusa, senza più alcun legame col presente.
Ma non c’è nulla di più sbagliato! La Prima Guerra Mondiale, o Grande Guerra, fu davvero un grande evento. Qualcosa che segnò drasticamente la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova era. Con il famoso colpo di pistola all’arciduca Francesco Ferdinando, Gavrillo Pinricp, fece traboccare il famoso vaso. Un semplice colpo di pistola diede inizio a quel violento conflitto che porterà per la prima volta nella storia tutto il mondo in guerra. L’espressione “guerra mondiale” nasce infatti in quella prima occasione. Fino ad allora, guerre su vasta scala erano senza dubbio avvenute. Basti pensare alla guerra dei sette anni o le guerre napoleoniche, ma mai nessuna aveva coinvolto un così alto numero di contendenti. Con la Prima Guerra Mondiale, il complicato sistema di alleanza tra i vasi paesi fa precipitare l’intero globo in un sanguinoso conflitto.
Quella che era nata come “guerra lampo”, per dirla alla maniera dei tedeschi, ben presto si trasformerà in guerra di posizione, impantanandosi nel fango delle trincee; trincee che percorreranno quasi tutta l’Europa e che diventeranno per 4 anni il teatro di battaglia di questa immane carneficina. Per la prima volta venne fatto ampio uso di armi automatiche, entrarono in scena i primi carri armati e le prime “armi chimiche” . La mobilitazione generale, inoltre, cambiò il tessuto sociale dei paesi coinvolti. Infatti tutti gli uomini in età di leva venivano inviati continuamente al fronte, lasciando a casa solamente donne, vecchi e bambini.
La Prima Guerra Mondiale cambiò l’assetto globale principalmente attraverso la dissoluzione dei tre imperi secolari per eccellenza, ovvero quello asburgico, quello zarista e quello ottomano. La loro caduta, provocò enormi sconvolgimenti geopolitici in tutta l’Europa orientale e nel Medio Oriente. Ciò gettò le basi per le moderne crisi e situazioni di stallo in Africa, Balcani e mediterraneo orientale.
Parallelamente, venne messo in crisi anche il sistema imperialistico occidentale. Infatti con l’approvazione dei “Quattordici punti di Wilson”, che garantivano il principio di autodeterminazione dei popoli, venne messo in crisi il sistema coloniale francese e inglese.
Per quanto riguarda la Germania, la sconfitta porterà una forte destabilizzazione interna del paese. Qui un’oscuro imbianchino austriaco arriverà al vertice del potere e vent’anni dopo farà precipitare il mondo in nuovo conflitto mondiale.
Le conseguenze della Grande Guerra, come vediamo, sono quindi innumerevoli e complesse. Ma essendo un conflitto ormai remoto e così complicato, si tende troppo spesso a metterlo da parte. Anche il cinema ha ormai smesso di interessarsene, o meglio, lo fa in maniera defilata. Al contrario della Seconda guerra mondiale, dove abbondano film sull’argomento, grandi produzioni sulla Prima Guerra sono sempre state in numero inferiore.
Esistono però tre film in particolare che sono più che mai degni di nota. Infatti ricostruiscono appieno la follia e l’assurdità di una guerra come la Prima Guerra Mondiale.
In ordine cronologico sono:
- Orizzonti di Gloria, di Stanley Kubrick (1957)
- Uomini Contro, di Francesco Rosi (1970)
- 1917, di Sam Mendes (2019)
Queste tre pellicole hanno un potere narrativo tale da far piombare lo spettatore fin dentro la trincea. Capaci di fargli respirare, con i fanti, la paura e la puzza di morte.
1917
Partiamo però dal più recente, 1917, che ha da subito fatto parlare di sé, riuscendo poi a portare a casa ben tre Oscar. Sam Mendes, basandosi sui racconti del nonno, ha saputo ricreare gli ambienti e la realtà di una “guerra di fango”. Il colore prevalente in tutto il film,è sicuramente il grigio-ocra delle trincee e dei crateri delle esplosioni, reso con una magistrale uso della fotografia e del digitale.
Vediamo i due giovani caporali protagonisti muoversi in un paesaggio lunare creato dal passaggio del fronte, tra corpi in putrefazione, ratti, trincee e villaggi abbandonati. In tutto il film aleggia un sentimento di morte e abbandono, tanto che quasi si avverte la presenza dei fanti nella sala cinematografica. Con rapidi tagli ed inquadrature, sembra di vivere le scene con gli occhi dei protagonisti, percependo le loro sensazioni e le loro paure. In due ore di film, ripercorriamo un’intera giornata al fronte. I giovani caporali Tom Blake e William Schofield, vengono incaricati di raggiungere il 2°battaglione del Devonshire Regiment per fermare l’attacco alle linee nemiche. Infatti l’attacco causerebbe la morte certa di 1600 uomini, dal momento che il nemico ha preparato una trappola mortale con una falsa ritirata.
La potenza del film è questa. Sapere rendere lo stato d’animo di questi giovani soldati in un terreno brullo ed inospitale, dove la guerra ha distrutto tutto. La desolazione regna sovrana e anche l’animo umano è continuamente messo a dura prova da questo ambiente fangoso ed in rovina.
Il regista mette in luce la contrapposizione di un conflitto di immane portata con un ambiente bucolico come solo la campagna francese può esserlo. Le enormi distese a pascolo, con i caratteristici paesini francesi, campi e frutteti, cascinali e cieli infiniti. La guerra ha trasformato tutto ciò, creando enormi voragini nei pascoli, abbattendo ogni albero, distruggendo ogni paese incontrato e incendiando le case isolate. Il passaggio del fronte viene riprodotto sotto ogni aspetto,ricreando la realtà di allora. Ovvero uno tsunami di inaudita violenza che con una sola ondata ha cancellato secoli di storia, lasciando cicatrici indelebili.
Sam Mendes vince la sfida di portare la guerra ad un realismo senza precedenti. Riesce a trasmettere il fetore della morte e della paura. Attraverso una ricostruzione degli ambienti di prim’ordine, senza tralasciare nessun dettaglio, neppure il più macabro e sanguinolento. 1917 è un viaggio nel tempo. Un viaggio che per due ore fa tenere il fiato sospeso, con un finale che lascia una forte punta di amaro in bocca e un peso sul cuore.
Orizzonti di Gloria
Il secondo film, “Orizzonti di Gloria” è invece il più datato tra i tre, ma capolavoro indiscusso del grande Stanley Kubrick. Con un attore d’eccezione quale il grande Kirk Douglas, recentemente scomparso all’età di 103 anni. Kubrick realizza questo lungometraggio nel 1957, ma diventa subito una pietra miliare del cinema di guerra. Benché qui, la guerra, sia un fatto che rimane in secondo piano, quasi un antefatto alla narrazione del film.
Basato sul romanzo omonimo di Humphrey Cobb, Kubrick ricostruisce uno spaccato di vita quotidiana nelle trincee francesi del 1916 su celluloide. Lo fa in pieno stile anni ’50. Quindi grandi panoramiche, assenza di scene violente, compostezza degli attori, effetti speciali ovviamente dell’epoca e un bianco e nero che dà valore aggiunto all’opera.
Infatti la pellicola di celluloide in bianco e nero è capace di rendere gli stessi colori della trincea. Un grigio perenne. Che caratterizzava effettivamente il clima e gli ambienti vissuti dai soldati al fronte, rendendo quindi superfluo il colore delle prima pellicole in technicolor. Nel film Kirk Douglas interpreta il colonnello Dax, brillante avvocato parigino prima della guerra, che guida un assalto alle linee tedesche. L’attacco fallisce. Il battaglione viene accusato dal generale Mireau di codardia per non avere combattuto al meglio e di non essere stato in grado di conquistare il Formicaio, la famigerata postazione tedesca.
Mireau ordina per rappresaglia la fucilazione di tre uomini a caso della truppa per ricordare le “buone maniere e la disciplina” agli altri soldati. Douglas si candida a difensore dei tre fanti, ben sapendo quanto fosse infondata e delirante l’accusa. Infatti l’attacco alle fortificazioni tedesche era destinato al fallimento prima ancora di iniziare. Kubrick, vuole qui sottolineare la follia e l’assurdità delle alte sfere di comando dell’esercito francese in un conflitto che non compresero mai abbastanza.
La prima guerra mondiale fu un evento bellico di assoluta novità. Le classiche tecniche di guerra insegnate nelle varie accademie militari diventava assolutamente inutile ed obsoleta. Davanti ad un nemico agguerrito e con armi moderne, come la mitragliatrice e i gas mostarda, era necessario adottare nuove tecniche di combattimento.
Inoltre, l’arringa difensiva del colonnello Dax è una sorta di “j’accuse” nei confronti dell’esercito francese. Infatti la figura del generale Mireau e del suo superiore, generale di Stato Maggiore Broulard, dimostrano tutta l’insensatezza e l’inadeguatezza di una disciplina militare fredda e spietata. Una disciplina che viene imposta attraverso le fucilazioni e il pungo di ferro. Questi ufficiali, infatti, troppo spesso sacrificavano le vite di migliaia di soldati sull’altare della gloria nazionale, per arrivismo personale e fame di carriera. I fanti in trincea venivano considerati dei semplici numeri, animali da macello da mandare allo sbaraglio in assalti inutili e fallimentari.
Il film rende pienamente l’idea di quanto il classismo di fine ottocento regnasse sovrano negli strati più alti della società francese. La Francia, la patria della rivoluzione e della libertà aveva ormai tradito i suoi stessi ideali. Si era adagiata su un borghesismo estremo, dove gli antichi “stati sociali” erano nuovamente la norma.
Uomini contro
In ultimo, l’italiano “Uomini contro”, di Francesco Rosi, è forse il più crudo tra i tre film. Anche qui il colore predominante è il grigio. La pellicola, sebbene a colori, ha perfettamente ricreato le tonalità del paesaggio alpino delle trincee italiane: freddo ed inospitale, estremo e pericoloso, gelido e mortale. La guerra ha completamente devastato il panorama. Gli eserciti hanno creato fortificazioni imprendibili tra i picchi più alti, contro cui la stupidità dei vertici militari si infrange, causando la morte inutile di migliaia e migliaia di uomini.
La prima guerra mondiale rappresenta la fine della guerra tradizionale ottocentesca e l’inizio delle moderne tecniche di combattimento. Qui, il generale di divisione Leone, interpretato da un fantastico Alain Cuny, è il classico ufficiale devoto alla causa, freddo e insensibile, la cui unica bramosia è la gloria sul campo ad ogni costo. Per lui è più importante un nastrino ed una medaglia di latta che la vita di un soldato. Tante cicatrici, tante medaglie.
Leone è la personificazione esatte del generale Luigi Cadorna. Cadorna fu il capo di Stato Maggiore che guidò i primi tre anni di conflitto, il generale delle famose “spallate”, ossia le offensive frontali. Tali attacchi furono quasi del tutto inutili e includenti, avendo come unico risultato la morte inutile di migliaia e migliaia di fanti italiani. Essi furono mandati avanti ad oltranza, senza un piano vincente, rendendo vano ogni assalto alle trincee austriache. Solo con l’arrivo del generale Armando Diaz, nel novembre nel 1917, le sorti del conflitto cambieranno e l’Italia riuscirà, faticosamente, a “vincere” la guerra.
La controparte del generale Leone, è rappresentata dal tenente Ottolenghi, un veterano disilluso dal conflitto e di idee socialiste. Ottolenghi, interpretato da uno splendido Gian Maria Volontè, diventa l’eroe razionale che si scontra con l’irrazionalità dei vertici militari.
Il culmine di questa follia è rappresentato dalla scena in cui Leone fa uscire i cosiddetti fanti “Farina”, sicuro della loro invincibilità. Questi soldati, chiusi nelle loro armature, vengono invece inesorabilmente falciati uno ad uno. Ciononostante, viene dato l’ordine di uscire dalle trincee e di assaltare le difese austriache; ma un unico nido di mitragliatrice abbatte ogni singolo soldato partito all’attacco. Il culmine di questa follia si raggiunge quando dalle linee nemiche si leva un grido disperato. Gli austriaci, assistendo alla scena, supplicano: “Basta, basta italiani. Non si può morire così. Il vostro è un suicidio! Tornate indietro!”. Questa frase diventa emblematica della follia del generale Leone. Egli, pieno di sé, pur di impedire la ritirata dei soldati italiani, dà ordine di mitragliarli alle spalle. Mentre le mitragliatrice sparano, urla: “Avanti, avanti mia gloriosa divisione!”.
Per concludere, i tre film rappresentano un climax ascendente nella narrativa della Prima Guerra Mondiale. Partiamo dalla sobrietà di un Kubrick del ’57, dove la guerra diventa un semplice antefatto, ma in cui è ben chiara la disumanizzazione e l’impreparazione delle alte sfere gerarchiche, fino ad arrivare al fango mortifero di 1917, dove lo spettatore si immerge interamente nella battaglia; passando per i sassi degli altipiani alpini di Rosi, dove viene denunciata la follia e la vanagloria dell’Alto Comando, tanto che il film sarà boicottato e il regista accusato di vilipendio dall’Esercito Italiano.